Giorgio Napolitano è un credente e con i fedeli, si sa, càè poco da fare: sono impermeabili agli insegnamenti dell'esperienza, tengono salda la fede anche quando i fatti la smentirebbero clamorosamente.

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Napolitano invoca lo spirito del ‘76 Quello che prosciugò il Pci (e il Paese

Giorgio Napolitano è un credente e con i fedeli, si sa, càè poco da fare: sono impermeabili agli insegnamenti dell’esperienza, tengono salda la fede anche quando i fatti la smentirebbero clamorosamente.

Giorgio Napolitano è un credente e con i fedeli, si sa, càè poco da fare: sono impermeabili agli insegnamenti dell’esperienza, tengono salda la fede anche quando i fatti la smentirebbero clamorosamente.

Giusto ieri il fedelissimo ha esaltato il gran coraggio dimostrato dal Pci e dalla Dc quando, nel 1976, a fronte di un Parlamento altrimenti ingovernabile, scelsero l’alleanza. Allora si chiamava unità nazionale, oggi, all’europea, grande coalizione. È la stessa zuppa.

Impegnato a esortare i reprobi, il capo dello stato ha glissato sui risultati di quell’eroica decisione, per il Paese, per la base sociale della sinistra e per il suo stesso partito. Conviene invece rivangarli, sia pure a grandi linee.

L’Italia si trovava allora alle prese con l’inflazione più alta dell’occidente. La formula adottata dalla strana alleanza versione anni ’70 fu, tanto per cambiare, una ricetta a base di sacrifici, rigore e austerità, sbandierata appunto dal Pci e dalla Cgil che seguì a ruota. A proporre un intervento drastico sui salari fu proprio il responsabile del Pci per l’economia, Napolitano Giorgio.  In cambio, dicevano i dirigenti storicamente compromessi, superata la crisi, si sarebbero ottenuti immensi vantaggi in termini di occupazione e di sviluppo del Sud. Sul piano della lotta all’inflazione la formula funzionò. La disoccupazione invece schizzò dal 5,9% del 1975 al 10,6% del 1985 e nel Sud la situazione rimase invariata, cioè nerissima.

Non è che allora le conseguenze dell’austerità fossero meno recessive di oggi. Gli effetti della politica varata dalla coraggiosa accoppiata sarebbero stati esiziali, non fosse che, a differenza di oggi, i governi non dovevano fare i conti con vincoli europei. Risolsero l’inconveniente pompando il debito pubblico che, come ci è stato ripetuto un miliardo e passa di volte, si impennò proprio allora ed è a tutt’oggi il peso che tira a fondo l’Italia. La ripresa certo ci fu, però drogata e alla distanza venefica. Nei tempi lunghi, i risultati delle politiche economiche d’austerità rese possibili dalla convergenza parallela tra Pci e Dc furono disastrosi.

Sul piano sociale andò peggio. Sino al 1975 l’Italia aveva varato alcune delle riforme più avanzate e significative della sua storia e dell’intera Europa: Statuto dei lavoratori, riforma carceraria, equo canone… Non erano regali ma frutti d una spinta oggi letteralmente inimmaginabile che partiva dal basso, in particolare dalle aree operaie, e che stava inesorabilmente trasformando il Paese. A quella spinta fu d’improvviso messa la sordina: non si poteva turbare l’armonia nazionalmente unitaria.

Il risultato fu che, con qualche anticipo sugli Usa di Reagan e sul Regno unito della non compianta Thatcher, dopo tre anni di “cura” unitaria la controparte sociale, i padroni si diceva all’epoca, si sentì pronta per un affondo in campo aperto che riportò le relazioni sociali in Italia indietro di decenni. Da allora a tendenza non si è mai più invertita. Andò a finire, come documentato da Gad Lerner nel suo bellissimo e oggi dimenticato libro, Operai, che nei primi anni ’80 il terrore nelle fabbriche era tale che gli operai andavano a lavorare anche con 39 di febbre ed erano i capi a dovergli chiedere di tornarsene a casa, per paura che gli crepassero alla catena pur di non perdere il posto.

Il Pci fu semplicemente cancellato. Come rivela nel suo libro di memorie Mission: Italy l’allora ambasciatore americano in Ialia Evans Moro e Andreotti perseguivano una strategia chiara, che il Berlusconi di oggi si è limitato a mutuare e a correggere con la richiesta di garanzie personali di cui i vecchi democristiani non necessitavano. “Noi – spiegarono i furbi democristiani all’ingenuo yankee – useremo il Pci per far passare senza conflitti quelle politiche economiche che altrimenti creerebbero grandi tensioni sociali. Siccome sono misure che colpiscono duramente la base sociale del Pci è certo che alle prossime elezioni quel partito sarà punito, perderà milioni di voti e noi ce ne potremo liberare”. Andò proprio così.

Questo è stato il 1976: fu dettato non dal coraggio ma dalla paura di tornare al voto e gli esiti furono una catastrofe le cui conseguenze le paghiamo ancora a 37 anni di distanza.

Sei proprio sicuro che convenga rifarci, compagno ex responsabile delle politiche economiche del Pci?

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