Lo scenario greco e la lezione incompresa di Atene

Aveva espresso tutto il suo timore Mario Monti nel comizio di chiusura della campagna elettorale, tre giorni fa a Firenze: «Temo un risultato alla greca». L’aveva detto anche Pierluigi Bersani, accusando Beppe Grillo: «Porterà  il Paese in Grecia, non tra sei mesi ma domani mattina». Quel giorno è arrivato e le urne ci consegnano un risultato alla greca, appunto: nessuna maggioranza certa, ingovernabilità , rischio di turbolenze finanziarie e prospettiva di un ritorno al voto in tempi brevi.

Aveva espresso tutto il suo timore Mario Monti nel comizio di chiusura della campagna elettorale, tre giorni fa a Firenze: «Temo un risultato alla greca». L’aveva detto anche Pierluigi Bersani, accusando Beppe Grillo: «Porterà  il Paese in Grecia, non tra sei mesi ma domani mattina». Quel giorno è arrivato e le urne ci consegnano un risultato alla greca, appunto: nessuna maggioranza certa, ingovernabilità , rischio di turbolenze finanziarie e prospettiva di un ritorno al voto in tempi brevi. Anche perché, come in Grecia un anno fa, qualsiasi ipotesi di grande coalizione non avrebbe altro risultato che quello di far schizzare in alto i consensi per l’unica forza capace di coagulare il malcontento sociale: in Italia il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, in Grecia la sinistra radicale di Syriza.
Ma vediamo quante e quali analogie potrebbero esserci con quanto accaduto ad Atene. I greci andarono al voto il 6 maggio del 2012 con un fortissimo rischio che i due partiti maggiori, il centrodestra di Nuova Democrazia – minato da numerosi scandali di corruzione, come il Pdl italiano – e i socialisti del Pasok non riuscissero a ottenere una maggioranza sufficiente a formare un governo di unità nazionale. Andò esattamente così: il centrodestra si fermò a un misero 18,9% dei consensi, il Pasok crollò al 13,2%. Viceversa, si registrò l’exploit di Syriza, la coalizione di sinistra radicale guidata da Alexis Tsipras, che grazie al fatto di aver cavalcato le proteste di piazza riuscì a ottenere il 17% dei voti. Sul versante opposto, mise paura l’avanzata dei neonazisti di Alba Dorata, al 7%.
Il giorno dopo, risultò impossibile formare un governo, anche perché Syriza rifiutò qualsiasi accordo che avrebbe fatto precipitare i consensi ottenuti. Si tornò così alle urne il 17 giugno, sotto la spada di Damocle della mancata concessione degli aiuti europei e del rischio concreto di non riuscire a pagare stipendi e pensioni nel volgere di un paio di mesi. Il leader di Nuova Democrazia Antonis Samaras promise di rinegoziare le condizioni-capestro imposte dalla Ue e la pressione internazionale fu pesantissima. Risultato: il centrodestra balzò dal 18,9% al 30%. Del ricatto europeo non beneficiò il Pasok, che rimase incollato al 12,5% che bastò per formare un governo di coalizione. Ma la vera sorpresa fu ancora una volta Syriza, che balzò al 27%. Morale della favola: non aver studiato la lezione greca ci ha condotti dritti a uno scenario greco.

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