LE BELLE LETTERE TESTIMONI D’AMORE

 Le lettere, le belle lettere di una volta, quelle scritte a mano, che se indovinavi sulla busta rosa o azzurrina la calligrafia ti facevano palpitare, quelle lettere scritte a penna e a vederle non diverse da quelle spedite da Madame de Sévigné, che tanto piacevano al giovane Proust, quelle confidenti lettere personali sono ormai rare e nessuno le scrive più.

 Le lettere, le belle lettere di una volta, quelle scritte a mano, che se indovinavi sulla busta rosa o azzurrina la calligrafia ti facevano palpitare, quelle lettere scritte a penna e a vederle non diverse da quelle spedite da Madame de Sévigné, che tanto piacevano al giovane Proust, quelle confidenti lettere personali sono ormai rare e nessuno le scrive più.
Quando la mattina vado ad aprire la cassetta della posta spero sempre che salti fuori una di quelle lettere, ma quasi sempre ciò non avviene. Nella cassetta ci sono buste di ogni tipo, con l’indirizzo stampato, e so che portano tasse, bollette, scadenze o richieste varie di danaro, lettere burocratiche e disanimate dove sei solo un nome e un indirizzo. So anche che non può essere altrimenti in un’epoca in cui la più grande trasformazione è avvenuta nel campo della comunicazione, e l’email è la forma più comune che si è sostituita alla lettera, ma tutto questo aumenta la mia solitudine. La rete fittissima di connessioni, messaggi, proposte, minacce, inviti che trovi sul computer lascia da parte ogni moto sentimentale, quei sentimenti una volta racchiusi in una busta. Così, in mezzo a tanti messaggi volteggianti sul piccolo schermo, la nostra intimità si ritrova sempre più trascurata e ignorata. Ma non è solo questo che viene a mancare.
Tutta una zona rigogliosa della letteratura, quella degli epistolari, delle correspondances, degli scambi di pensieri e opinioni, è sempre meno praticata. Perché dovrei scrivere una lettera quando invece posso scrivere un articolo che mi viene pagato? Lo diceva col solito humour irridente Ennio Flaiano per spiegare a suo modo la situazione. Scrivere una lettera richiede tempo, richiede un sentimento, un interesse, qualcosa di personale, e tante di quelle cose che nel mondo turbolento e distratto in cui viviamo non sono più a tutti possibili. Era facile in una bella villa del Sette o dell’Ottocento dove vivevi in tranquilla solitudine che ti venisse la voglia di scrivere una lettera, ma la forma di vita che oggi ci è toccata ostacola il rapporto epistolare. Per la stessa ragione è caduta in disuso anche quella forma letteraria, il romanzo epistolare, che con I dolori del giovane Werther ebbe tanti appassionati lettori. E ancora appassiona i lettori uno dei romanzi epistolari più straordinari per la sottigliezza e la perfidia psicologica dei personaggi, parlo de Les liasons dangereuses di Choderlos de Laclos pubblicato nel 1782, un romanzo che chiude e sigilla col suo marchio un’epoca, quella della società francese del XVIII secolo, dopo la morte di Luigi XIV. Raramente si è andati più a fondo nell’analisi del lato buio del cuore umano.
Sterminata poi è la letteratura epistolare, e ci sono lettere che da questo mare arrivano fino a noi come quelle che scriveva Seneca a Lucilio, o quella che Petrarca scrisse per descrivere una tempesta, o quelle che Abelardo scriveva a Eloisa («ho sofferto per la violenza esercitata contro di me non per la tua salvezza ma per la tua disperazione…»), o quella che senza freni inibitori Joyce scrisse alla moglie, quelle di Van Gogh al fratello, o infine quelle tragiche dei condannati a morte della Resistenza… E ancora lettere di scrittori, filosofi, artisti, che parlano di sé e del proprio lavoro, dove si trovano notizie ed episodi che inutilmente cercheremmo altrove, e che ci aiutano non solo a capire la natura intima di chi le ha scritte, ma anche l’epoca, il mondo da cui provengono. E voglio indicare quelle che nel momento giusto della mia formazione mi appassionarono, le lettere di due ragazzi prodigiosi della mia età, Jacques Rivière e Alain Fournier, l’autore di Il grande amico (Le grand Meaulnes) morto a ventisette anni sul fronte della Prima Guerra Mondiale.

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