Voglio riprendere e cercare di svolgere alcuni dei punti toccati nell’articolo «Cambiare si può, un buon inizio» di Alberto Burgio. Parto dal suo incipit hegheliano, «l’apparenza differisce dalla realtà », proprio per richiamare, dall’interno della sua analisi, alcuni dati mancanti o forse volutamente sottostimati, che invece, a mio avviso, chiariscono molte delle questioni rimaste in sospeso.
Voglio riprendere e cercare di svolgere alcuni dei punti toccati nell’articolo «Cambiare si può, un buon inizio» di Alberto Burgio. Parto dal suo incipit hegheliano, «l’apparenza differisce dalla realtà », proprio per richiamare, dall’interno della sua analisi, alcuni dati mancanti o forse volutamente sottostimati, che invece, a mio avviso, chiariscono molte delle questioni rimaste in sospeso. In particolare vorrei soffermarmi sul rapporto che esiste tra quella che Burgio chiama «la pulsione autodistruttiva che sembra dominare la Federazione della Sinistra», l’atmosfera di fastidio chiaramente emersa nei confronti delle forze politiche organizzate durante l’assemblea al teatro Vittoria di Roma di «Cambiare si può», e la sconfitta delle sinistre in Sicilia.
Sono ovviamente aspetti strettamente collegati, se solo si fa lo sforzo non solo di «guardate alla realtà» in questo caso storica e politica di una sinistra che continua a dividersi mentre dichiara programmaticamente il contrario, ma di aggiungere come griglia di analisi la riflessione di Nietzsche relativa al «non è importante solo ciò che si dice ma chi lo dice». Ecco il punto, chi parla? Con quale credibilità chi ha disarticolato sistematicamente ogni tentativo di fare della FdS una forma superiore di unità a sinistra oggi si (ri)presenta con lo stesso ritornello, con l’immancabile preambolo «siamo quelli di Genova» e via discorrendo? Chi non ha memoria non ha futuro diceva Bob Marley, che di movimenti sociali se ne intendeva davvero; e chi ha memoria della storia che parte da Genova appunto e passa per la Sinistra europea, l’Arcobaleno e buon ultima la FdS, vede, come l’angelo di Banjamin, solo cumuli di macerie riciclate e rimesse di nuovo a disposizione di una unità dichiarata a casa d’altri ma non certo praticata a casa propria.
Credo che sia necessaria una forma estrema di chiarezza politica e storica quando si mettono elementi analitici al servizio di qualcosa di nuovo e così importante come la formazione di un’area a sinistra del patto di governo Pd-Sel. Bisogna cominciare col dire che la FdS che non si è «autosospesa» come pudicamente afferma Burgio ma ulteriormente zombizzata, cosa molto diversa. Si «autosospende» qualcosa di vitale e funzionante, non qualcosa che è sempre stato tenuto in animazione sospesa e che si è frammentato totalmente di fronte alle scelte topiche delle alleanze elettorali e della linea politica da tenere nei confronti di una proposta di governo di centro sinistra.
La FdS era nata, oramai tre anni or sono, esattamente sulle stesse parole d’ordine e idealità che abbiamo sentito risuonare nell’appello «Cambiare si può». Anche li le istanze dei movimenti sociali, degli ambientalisti, delle politiche di genere, erano ritenute come programmatiche. Si disse che bisognava unire, in forma inedita, federata appunto, partiti politici e società civile, movimenti e strutture organizzate, che «finalmente» si partiva invertendo la maledetta pulsione a scomporsi che da sempre avvelenava le sinistre.
Forse Burgio ricorda i «abbiamo messo in comune quel novanta per cento che ci unisce e lasciato da parte quel dieci che ci divide». Allora il modello era la Linke tedesca, perché era in ascesa e le divisioni al suo interno non si erano ancora manifestate. Ora naturalmente è Syriza. Forse vale la pena ricordare che Lula ad un certo punto della sua analisi politica capì che la sinistra latino americana sbagliava perché si rapportava sempre a modelli esterni. Ad un certo punto, Burgio lo ricorda certo, si festeggiò addirittura l’anniversario della ricomposta scissione Pec PdCI. Per anni poi, alle dichiarazioni di principio, di inclusione, di apertura, seguirono fatti diametralmente opposti: la costante emarginazione delle istanze di movimento, la progressiva essiccazione della dialettica interna, la riduzione delle decisioni ai vertici dei due partiti comunisti, ovviamente in lizza per l’egemonia colturale della FdS.
Di tutto questo, vissuto sui territori ogni giorno, i militanti, i compagni, i cittadini, gli esponenti dei movimenti che ci avevano per l’ennesima volta creduto, si sono ricordati e dunque, a partire dalle elezioni siciliane, un test politicamente importante, come dice Burgio, hanno negato la fiducia ad una sinistra rissosa e scarnificata, autoreferenziale al punto di spendere la maggior parte del tempo a polemizzare al suo stesso interno tra fautori dell’unificazione dei comunisti e «siamo ancora quelli di Genova». Ovvio, allora, che i promotori di «Cambiare si può» vedano i partiti già aderenti alla FdS «autosospesa» come un peso per il lancio del loro progetto. Come dargli torto.
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