Le «cellule maligne» tormentano Chà¡vez

Il presidente costretto a tornare a Cuba per subire una quarta operazione. E per la prima volta pensa al “dopo”, lanciando il suo vice, Nicolà¡s Maduro, come candidato bolivariano

Il presidente costretto a tornare a Cuba per subire una quarta operazione. E per la prima volta pensa al “dopo”, lanciando il suo vice, Nicolà¡s Maduro, come candidato bolivariano

CARACAS. Sabato sera, 9 dicembre. In una trattoria di Caracas, Ernesto ha un orecchio attento all’auricolare, l’altro alla conversazione del tavolo. Giovane militante del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), come molti suoi coetanei unisce la passione per il baseball a quella per la politica. E stasera i Tiburones giocano contro i Tigres. All’improvviso, Ernesto fa cenno a tutti di tacere: «Il presidente – dice – sta facendo un annuncio». Gli altri prestano attenzione: per interrompere così una trasmissione sportiva, ci dev’essere un motivo grave. La spiegazione arriva con le parole di Hugo Chávez, tornato il giorno prima da Cuba: il tumore nella zona pelvica, che lo affligge dal giugno 2011, ha riprodotto «cellule maligne», occorre operare con urgenza per la quarta volta. Per questo Chávez chiede al Parlamento di poter tornare a Cuba già l’indomani.
Il presidente spiega di aver forzato il parere dei medici e preso molti calmanti per parlare direttamente al popolo venezuelano, che lo ha riconfermato per la quarta volta il 7 ottobre scorso. È venuto a dire che, in caso fosse “inabilitato” ad assumere l’incarico il 10 gennaio, il testimone passerebbe al vicepresidente, Nicolás Maduro: in base alla Costituzione, ma anche secondo la sua precisa indicazione, l’ex ministro degli Esteri è il candidato più adatto a rappresentare il campo bolivariano in caso di nuove elezioni.
La Costituzione prevede che Chávez possa avere davanti 3 mesi più altri 3 prima che il Parlamento ne attesti «l’impossibilità assoluta» a governare e il presidente dell’Assemblea, Diosdado Cabello, debba indire nuove elezioni. In questo caso, secondo Chávez, il candidato bolivariano sarebbe Nicolás Maduro. Socialista e sindacalista della prima ora, Maduro, 50 anni, ha partecipato alla stesura della Costituzione bolivariana ed è uno dei dirigenti più vicini a Chávez. Come ministro degli esteri, ha lavorato all’integrazione latinoamericana, il cui ultimo risultato è stata l’adesione piena del Venezuela al Mercosur, proprio sabato.
Il discorso di Chávez è stato all’insegna dell’«unità», più volte invocata a difesa della “rivoluzione bolivariana”, delle sue conquiste di sovranità nazionale e di giustizia sociale. Così il presidente ha chiesto con forza «l’appoggio del popolo e di tutte le correnti». In primo luogo si è rivolto al governo, chiedendogli di realizzare «l’unità prima di ogni decisione che dovremo prendere nei prossimi giorni».
Tra una canzone e un attestato di coraggio, Chávez ha ripercorso le tappe della sua malattia. Rispondendo alle accuse dell’opposizione ha detto di averne dato conto con chiarezza in ogni momento, e ha assicurato che, se non avesse constatato un recupero, non si sarebbe ricandidato: «Vada come vada, è già stato un miracolo arrivare fin qui. E oggi abbiamo una patria, che nessuno si illuda», ha aggiunto. Come dire: che gli avversari non credano di aver facile gioco – con un Psuv distratto o indebolito dalle lotte di corrente e privo di un leader carismatico – per vincere le elezioni regionali, e poi quelle comunali, nell’aprile 2013. E che non immaginino, a quel punto, di rendere ingovernabile il paese come durante il «paro petrolero» del dicembre di dieci anni fa.
Certo, lo scenario si complica senza Chávez, e potrebbe pesare sul poco scarto esistente in alcuni stati tra il candidato del Psuv e quello di opposizione. E alcune figure moderate del chavismo, messe lì per catturare voti all’opposizione, potrebbero cambiare casacca, com’è già successo. Dall’altra parte, però, non ci sono giganti, né motivazioni più forti degli interessi di bottega, o gestioni regionali soddisfacenti. E le defezioni annunciate pubblicamente non sono mancate.
Dopo il discorso del presidente, la gente scende in strada, cercandosi spontaneamente, come aveva fatto il 27 novembre sentendo l’annuncio dell’improvvisa partenza di Chávez per Cuba. Un primo gruppo si ritrova a Puente Llaguno, a circa 200 metri da Miraflores, sotto la statua dedicata alle vittime del colpo di stato del 2002. Occhi rossi, abbracci, bandiere rosse. Chi arriva in moto, chi in macchina, chi a piedi. «Chávez è il nostro leader – dice Jersson, 15 anni, – è difficile pensarci senza di lui, ma dobbiamo avere coraggio, prendere esempio anche in questo caso da lui e dargli forza» . Una donna di origine italiana, sposata a un militare, racconta che al ristorante, sentendo l’annuncio, l’opposizione ha festeggiato. Una più anziana, si sporge dal finestrino dell’auto: «Il processo bolivariano sta vivendo una fase delicata, sono preoccupata – dice – dobbiamo restare uniti».
Il giorno dopo, mentre il popolo chavista si riversa in Piazza Bolivar, il Parlamento si riunisce in seduta speciale, per approvare, a maggioranza, il viaggio del presidente a Cuba. Diosdato Cabello, presidente dell’Assemblea, dirige i lavori. L’opposizione attacca, la malattia del presidente è stata un suo costante cavallo di battaglia: per creare allarmi («sta morendo») o discredito («fa finta»). In questo caso, però, sia con le parole di Maria Corina Machado (Sumate) che con quelle di Julio Borges (Primero Justicia, il partito di Capriles) usa ecumenismo e guanti di velluto: per fede o superstizione, scherzare col dolore o con la morte, qui, porta cattivi frutti, e poi siamo in periodo natalizio. E perciò, si manifesta solidarietà formale «alla famiglia del presidente e a quelle di tutti i malati», precisando però «che il Venezuela ha diritto di sapere, che il presidente non è stato chiaro con la sua malattia e ora vuole governare il paese dall’estero».
«Cuba non è l’estero, ma la Patria grande», ribattono i chavisti ricordando il progetto di Simon Bolivar; e il viaggio di Chávez è cosa «ben diversa da quelli compiuti a Washington dai presidenti della IV Repubblica». E fanno scudo intorno alla figura del leader malato, ribadendo i punti del nuovo programma di governo, il nuovo impulso alle misure sociali: «Con le rivoluzioni del secolo scorso, gridavamo: “Proletari di tutti i paesi uniti”, ora si tratta di unirci sui punti di questa nuova rivoluzione», dice la deputata Maria Léon, marxista e femminista.
Nel pomeriggio, deputati e candidati alle regionali del prossimo 16 dicembre si recano in Piazza Bolivar, dove i militanti sono arrivati fin dal mattino. Analoghe manifestazioni si svolgono in tutto il paese. In ogni stato, in tutte le piazze Bolivar ha luogo una «veglia di preghiera e di accompagno» per il presidente.
A Caracas, i candidati alle elezioni regionali firmano un documento d’impegno «con la patria e con Chávez» davanti alla folla in piazza Bolivar. Parla per primo Elias Jaua, un marxista che proviene dai movimenti studenteschi. È candidato governatore nello stato di Miranda contro Enrique Capriles Radonski, di Primero Justicia, che ha corso e perso contro Chavez alle presidenziali del 7 ottobre: «Con questo atto firmiamo il cammino della rivoluzione – dice Jaua – non ci sarà un patto con la borghesia, né una corsa in avanti, la rivoluzione cammina nel solco indicato da Chávez, è nostro dovere preservare quel cammino e la stabilità. Ti aspettiamo, presidente. Siamo obbligati a vincere». La piazza risponde scandendo: «El pueblo unido jamas sera vencido».

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