Trentun anni fa, il 10 dicembre 1981, un giovane compagno, Giorgio Soldati, venne ucciso da brigatisti nel carcere speciale di Cuneo. Era stato da poco arrestato e torturato dalla polizia. Lo ricordiamo con un brano tratto dal libro “Una vita in prima linea”
Due mesi prima, nel dicembre 1981, nel carcere di Cuneo i brigatisti avevano ucciso Giorgio Soldati, un giovane compagno uscito da PL che stava cercando di entrare nelle BR. Fermato, assieme a un altro militante, durante un controllo alla stazione centrale di Milano, aveva ingaggiato un conflitto a fuoco. Un poliziotto, Eleno Viscardi, era rimasto ucciso.
Catturati e portati in questura erano stati sottoposti a violenze. Sotto le botte, Giorgio aveva ceduto e dato qualche informazione. Terminati i pestaggi, aveva ritrattato tutto e chiesto di essere mandato in carcere con gli altri compagni. I magistrati l’avevano irresponsabilmente accontentato e spedito a Cuneo, un carcere speciale. Lì aveva domandato di stare nella sezione dei brigatisti e non in quella dei piellini. Una decisione tragica ma coerente con la sua scelta di campo, in un momento in cui la contrapposizione tra le organizzazioni in carcere era diventata fortissima. Così i piellini avevano rinunciato a difenderlo. Stante il clima, facilmente prevedibile l’esito: il processo e la sentenza, eseguita da alcuni brigatisti. Lui si era limitato a dire: fate presto, porgendo il collo ai suoi aguzzini.
Al processo che si tenne cinque anni dopo, il padre di Giorgio, Mario si costituì parte civile – come scrisse in una lettera – «non contro gli esecutori, come molte persone si sarebbero aspettate, compreso il PM Giraudo, ma contro lo Stato […]. Mio figlio è stato costretto dallo Stato a collaborare con la cosiddetta giustizia con dei mezzi coercitivi, illegali, poi dato che di quello che ha detto niente è stato messo a verbale, l’hanno mandato nel carcere di Cuneo senza l’adeguata protezione […]. Indubbiamente, la sopravvivenza dei genitori ai propri figli è la cosa più brutta che possa capitare, ma sono sicuro di interpretare anche il pensiero di mia moglie, preferiamo piangerlo morto ma coerente con i suoi principi e la sua moralità, piuttosto che vivo ma traditore o delatore dei suoi compagni, un pentito pagato dallo Stato per tradire i propri compagni con i denari di Giuda».
(tratto da Una vita in prima linea, di Sergio Segio, Rizzoli editore, 2006)
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