Dobbiamo essere grati ad Andrea Becherucci per il volume Giustizia e libertà restano gli imperativi etici (sottotitolo: Per una bibliografia degli scritti di Gaetano Arfè, Biblion, pp. 261,€ 18). Opera meritoria, che non solo ci restituisce la figura di Arfè, ma ci aiuta a capire chi è stata questa personalità definibile «una e trina», appena si considera che ha saputo essere giornalista (per un decennio direttore dell’«Avanti !»), docente universitario (in vari atenei, compresa la Facoltà di Scienze Politiche «Cesare Alfieri» di Firenze) e parlamentare (senatore a Palazzo Madama, e deputato europeo), sempre con la capacità di considerare queste tre attività distinte ma complementari.
Dobbiamo essere grati ad Andrea Becherucci per il volume Giustizia e libertà restano gli imperativi etici (sottotitolo: Per una bibliografia degli scritti di Gaetano Arfè, Biblion, pp. 261,€ 18). Opera meritoria, che non solo ci restituisce la figura di Arfè, ma ci aiuta a capire chi è stata questa personalità definibile «una e trina», appena si considera che ha saputo essere giornalista (per un decennio direttore dell’«Avanti !»), docente universitario (in vari atenei, compresa la Facoltà di Scienze Politiche «Cesare Alfieri» di Firenze) e parlamentare (senatore a Palazzo Madama, e deputato europeo), sempre con la capacità di considerare queste tre attività distinte ma complementari.
Del resto, a scorrere le 1.384 voci che compongono la bibliografia dei suoi scritti, non è difficile ricostruire il profilo di Arfè e coglierne certe costanti, che aiutano a restituirci la sua presenza privata e pubblica per oltre mezzo secolo, non solo sulla scena italiana. C’è infatti un leitmotiv ribadito al numero 867 di questo volume, là dove Arfè confessa che fin da ragazzo «il socialismo divenne la mia regola di vita». E più tardi non esita ad aggiungere: «Il grande filone del socialismo italiano, che si diparte da Turati, che continua con Matteotti, che ingloba Rosselli, che alla mia generazione ha dato Nenni, è sopravvissuto alle aggressioni dello stalinismo, sopravvivrà al piccone e alle ruspe del neoriformismo, si pone ancora come componente viva e vitale di un processo di riorganizzazione unitaria della sinistra italiana» (ora in Scritti di politica e storia, a cura di Giuseppe Aragno, Città del Sole, 103-104).
Sono parole chiarissime; eppure come studioso Arfè ha saputo sfuggire il rischio di «politicizzare» il lavoro di storico, anche in virtù dell’influenza di «diretti maestri» — l’immagine è sua — come Croce, Salvemini e Chabod, oltre a Piero Calamandrei e Don Lorenzo Milani. Ma c’è un ulteriore elemento importante, che lo stesso Arfè più volte ha chiarito così: «Ho imparato il rispetto del documento in quindici anni passati negli archivi, dove vige ancora una tradizione di serietà, finora mai smentita».
È superfluo ricordare le sue opere più note: per esempio, la Storia dell’ Avanti ! (1956), la Storia del Socialismo italiano. 1892-1926 (1965) o la raccolta I socialisti del mio secolo (2002, a cura di Donatella Cherubini).
Vale piuttosto tener presente questa sua testimonianza-confessione: «Ho sempre cercato, nelle pagine che ho scritte, di ricostruire l’ethos politico degli attori e protagonisti, attenendomi scrupolosamente alle regole del mestiere, evitando ogni forma di faziosità e anche di tendenziosità, cercando ogni volta di mettere in luce, di capire e far capire i moventi delle loro azioni». Ecco il valore dell’impegno di Arfè per una storia etico-politica, nella convinzione che «ogni giudizio storico è oggetto di revisione permanente». Non so di quanti altri si possa dire lo stesso.
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