Studiosi a convegno sulle cucine della rivoluzione

Dalla cucina della comune di Parigi ai menu dell’Internazionale, dalla patata nella rivoluzione francese ai cappelletti di Lenin, le «cucine della rivoluzione» saranno al centro del convegno internazionale che si svolge da oggi a domenica a Massenzatico, in provincia di Reggio Emilia, quinto appuntamento di un ciclo che dal 2004, con cadenza biennale, conduce – all’interno della prima Casa del popolo costruita nel 1893 in Italia – un laboratorio politico unico nel suo genere.

Dalla cucina della comune di Parigi ai menu dell’Internazionale, dalla patata nella rivoluzione francese ai cappelletti di Lenin, le «cucine della rivoluzione» saranno al centro del convegno internazionale che si svolge da oggi a domenica a Massenzatico, in provincia di Reggio Emilia, quinto appuntamento di un ciclo che dal 2004, con cadenza biennale, conduce – all’interno della prima Casa del popolo costruita nel 1893 in Italia – un laboratorio politico unico nel suo genere. Gli affollati convegni, cui negli anni hanno aderito numerose personalità della cultura italiana e internazionale, hanno occupato uno spazio tematico non presidiato da nessuna delle numerose associazioni, talune meritorie, che si muovono nel caravanserraglio della divulgazione eno-gastronomica in Italia. Così quest’anno, dopo le «cucine del popolo», quelle «letterarie» (dedicate alla narrativa sociale), quelle dell’Utopista (sogni e bisogni) e della Locomotiva, si torna al tema centrale della Rivoluzione.
E anche quest’anno l’attenzione si concentra su quelle che, fin dall’inizio, sono le tre aree di interesse degli incontri di Massenzatico: il rapporto fra alimentazione e socialità nella storia delle classi subalterne, le connessioni fra cibo e avanguardie artistiche e infine le Produzioni Naturali e le Denominazioni Comunali. Il tutto seguendo il fil rouge delle culture libertarie, dal movimento operaio e contadino al radicalismo novecentesco, fino all’attualità in chiave di recupero in senso qualitativo, ecologico sociale ed equo solidale, dell’atto di cibarsi / produrre «per il pane e per le rose».
L’emancipazione sociale come prassi anti-autoritaria («senza prendere il potere» come si dice) e la lotta risoluta al mondo disumano delle merci hanno tentato così di collegarsi idealmente alle pratiche quotidiane ispirate al diritto innato di ciascun abitante del pianeta all’utilizzo delle risorse che gli sono necessarie per vivere e, di più, per conseguire finanche l’eccellenza agro-alimentare e la felicità. La cucina è il luogo della sperimentazione, della comunicazione creativa e della contaminazione culturale, anche se, con grandi forzature, viene utilizzata quale elemento caratterizzante i connotati di presunte piccole patrie. Ma l’apologia delle tradizioni e delle radici – spesso praticata anche da inconsapevoli assessori di paese – costituisce premessa al rifiuto dell’altro, negazione all’incontro, ragione vantata come legittima dai nativi e dai penultimi arrivati per l’esclusione degli ultimi. La cucina storicamente autentica in realtà non esiste, perché la cucina è invenzione e linguaggio, fenomeno culturale e sociale risultato di processi in continuo movimento, suscettibile di infinite variabili e declinazioni. Come la Rivoluzione.

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