SARDEGNA La crisi nell’isola è una storia di sbarchi e di rapine di soldi pubblici
Quelli dell’«Isola dei cassintegrati», sulla torre più alta dello stabilimento che produceva pvc
SARDEGNA La crisi nell’isola è una storia di sbarchi e di rapine di soldi pubblici
Quelli dell’«Isola dei cassintegrati», sulla torre più alta dello stabilimento che produceva pvc SASSARI. Sono quelli dell’ «Isola dei cassintegrati», gli stessi che il 24 febbraio del 2010 hanno occupato l’Asinara (lo scoglio che per decenni ha ospitato un carcere infame) perché la Vinyls voleva chiudere e metterli in cassa integrazione. Ieri un loro gruppo è salito sulla torre più alta della fabbrica che un tempo produceva cloruro di polivinile (Pvc) e ora è in liquidazione. Alla sommità della torcia ormai spenta, a cento metri di altezza, gli operai hanno steso al vento una bandiera dei quattro mori (il vessillo sardo) e un drappo con i colori nazionali del Brasile. All’acquisto di Vinyls, infatti, sarebbe interessata una società brasiliana. Ma tutto è tenuto sotto stretto riserbo, non si conosce neppure il nome del fantomatico gruppo industriale carioca. Ieri, poi, dai commissari incaricati di procedere alla liquidazione è arrivata una mezza doccia fredda: «Al momento nulla è giunto al dunque; siamo ancora in una fase di incontri preliminari al ministero per lo sviluppo economico». È così che gli operai, esasperati, hanno deciso di mandare un loro presidio in cima alla torcia. Gli stessi problemi hanno anche i lavoratori Vinyls di Marghera. Secondo fonti sindacali, i destini di Porto Torres e Venezia sono però separati. Per lo stabilimento veneto ci sarebbe l’interessamento di tre soggetti. Il primo, noto da tempo, sarebbe quello di un oleificio che a parità di occupazione trasformerebbe completamente l’area, acquisendo – e questo è uno degli ostacoli da superare – anche una banchina portuale. Il secondo riguarda invece un’azienda interessata ad acquisire la sola linea di produzione del Pvc. Infine, un terzo candidato guarda alla Vinyls di Marghera come semplice area commerciale: sarebbe in sostanza pronto a smantellare l’industria chimica per poi rivendere l’area con una nuova destinazione d’uso.
Per la lunga vertenza della Vinyls di Porto Torres le cose sembrano molto più complicate. Un incontro a Roma fissato per la prossima settimana dovrebbe chiarire quale sarà il destino dei lavoratori sardi. È ormai da due anni che la fabbrica è in liquidazione e gli operai ne hanno viste di tutti i colori. Sono fallite le trattative di acquisto con il fondo svizzero Gita e con Ramco, colosso americano della chimica mondiale. «Vediamo se è un’operazione seria o se siamo di fronte all’ennesimo bluff – dicono i lavoratori Vinyls – una cosa è certa: siamo pronti a tutto, perché c’è in ballo la nostra vita, il futuro delle nostre famiglie». Il misterioso marchio brasiliano ha formalizzato la proposta per Vinyls facendosi accreditare presso i commissari liquidatori dall’ambasciata del Brasile in Italia. Ora i commissari dovrebbero depositare la documentazione al Tribunale di Venezia e poi al ministero dello sviluppo economico. Spetterà a Corrado Passera e ai suoi collaboratori valutare la serietà della proposta.
Gli operai Vinyls di Porto Torres salgono sulla torcia spenta della loro fabbrica nello stesso giorno in cui quelli di Alcoa a Roma prendono le manganellate della polizia. Due episodi di cronaca che raccontano la stessa storia. Raccontano la storia del fallimento della privatizzazione dell’industria pubblica in Sardegna (ma in molte altre parti del Sud è uguale). La fabbrica di Porto Torres è appartenuta all’Eni. Quella di Portovseme a una società Efim, la Eurallumina. Quando l’inveramento del verbo neoliberista ha portato al taglio dei rami secchi dell’Eni e alla svendita per spezzatino dell’Efim, sono arrivati i privati: un imprenditore veneto a Porto Torres e una multinazionale Usa, l’Alcoa, a Portovesme. Entrambi hanno preso dalla Regione Sardegna e dal governo centrale tutto quello che potevano prendere: sconti sull’energia soprattutto, ma anche mano libera nella ristrutturazione dei cicli produttivi, con riduzioni degli organici e ritmi di lavoro più serrati. Poi, quando i mercati del Pvc e dell’alluminio sono diventati meno remunerativi per la crisi, hanno scelto la via della fuga. Anche con le agevolazioni pubbliche, sempre più difficili da prorogare perché Bruxelles pone il veto, produrre in Sardegna non conviene più come prima. E si sbaracca. Una logica di rapina, di cui stanno facendo le spese gli operai Vinyls come quelli Alcoa. Governo e Regione inseguono ipotetici compratori che, seppure si decidessero ad acquistare (ma alzano il prezzo degli aiuti statali perché sanno di avere il coltello dalla parte del manico), sbarcherebbero in Sardegna per applicare la stessa strategia di spoliazione già messa in atto da chi li ha preceduti. Per uscire dall’impasse, servirebbe invertire questa logica: servono scelte di politica industriale che segnino la fine della sottomissione al totem neoliberista. Scelte che Monti, convinto che lo stato presente del mondo è tutt’uno con la natura delle cose, non può fare.
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