Una fiaba di periferia che libera dalla camorra

«L’intervallo» di Leonardo Di Costanzo, esordio in fiction
Due ragazzini, un sequestro e un collegio dismesso, ring per adolescenti pronti alla fuga

«L’intervallo» di Leonardo Di Costanzo, esordio in fiction
Due ragazzini, un sequestro e un collegio dismesso, ring per adolescenti pronti alla fuga VENEZIA. Meglio L’intervallo che il primo e il secondo tempo del cinema italiano, meglio il detour del format. Il film d’esordio del documentarista Leonardo Di Costanzo è il titolo da spedire ai grandi festival internazionali, opera che si divincola dai tic formali e di genere e vola via come i pettirossi che «hanno paura della notte» e cantano nell’edificio diroccato di Napoli, un ex ospedale psichiatrico meraviglioso, un labirinto emozionale dove Salvatore (Alessio Gallo) e Veronica (Francesca Riso) si incontrano.
Non sarà una promessa, L’Intervallo è già oltre gli «Orizzonti», destinazione e sezione scelta dalla Mostra, con il suo incanto da fiaba di periferia, i dialoghi rock di un napoletano sincopato e di due ragazzini vagabondi in uno spazio misterioso, attraversato da creature degne di Miyazaki, presenze di altri mondi, apparizioni improvvise affondate nella melma dei sotterranei e nel giardino fatato, un gufo uscito dalle pagine di Poe, una nidiata di cuccioli rifugiati, il fantasma di una bambina suicida… Corpi resistenti al «fuori», il territorio della realtà sequestrata dalla camorra come la quindicenne Veronica, un tipetto d’acciaio, scontrosa e beffarda, prigioniera in attesa di punizione del diciassette venditore di granite al limone, Salvatore, bello e oversize. Veronica ha «sgarrato», si è messa con un Montecchi mentre lei è Giulietta con gli zoccoli a stivaletto, la gonnella corta e un taccuino d’appunti per dettare le sue memorie e denunciare gli assassini. Salvatore deve tenerla d’occhio perché non scappi al boss del quartiere, ma lo fa malvolentieri, il pensiero fisso al suo carretto di limonate.
Variazione sul tema Io e lei di Bertolucci, il film abita in un luogo chiuso, nel film un collegio dismesso, ring per i due adolescenti che non vogliono stare «né da una parte e dall’altra», ma volar via come l’aereo in transito su Napoli, costante richiamo alla fuga per Veronica, insofferente al suo secondino per caso. Si azzuffano, si rincorrono, si insultano. Lui non sa neppure perché sta lì a far la guardia alla ragazzina dispettosa, e il film non lo svela in un tempo dilatato, fermo, attraversato da una corrente di terrore.
Dimensione statica, sospensione della vita, L’intervallo esclude usi e costumi della camorra, che non imbraccia fucili e non versa sangue ma pervade l’aria e ingloba paesaggi e uomini. E dice molto di più del cinema illustrato con «padrini» o yakuza. Sottrarre la voce agli «eroi» mafiosi e scegliere il silenzio di Salvatore e Veronica che si scoprono improvvisamente in sintonia con cardellini e usignoli, e cinguettano le loro fantasie. «Cosa vorresti fare da grande?». «Quello che voglio fare io ancora non l’hanno inventato» risponde lei, i desideri non si avverano finché non scoppia la rivoluzione.
Figurine nel vuoto dell’immenso palcoscenico (il regista ha girato prima in teatro), i due entreranno in gioco, e si faranno esploratori di un posto tutto loro, fisico e mentale, negato dagli adulti. Il «sequestro» si trasforma in esodo. Una barca incagliata nel fango diventa un vascello in viaggio sulla Costa azzurra, le rocce e le caverne un pezzo di Madagascar, «cos’è?» chiede lei, che improvvisa un’intervista surreale da finalista dell’Isola dei famosi. La notte si porta le ombre dei camorristi e la suspense tocca l’apice con il discorso «persuasivo» del capoclan, le sue carezze peggio di una revolverata, davanti a una caparbia Veronica che ha in mente una «leggenda» narrata da Salvatore, la ragazza ammazzata per disubbidienza e buttata nel prato.
Inquadrata dall’alto del tetto è lontana la Napoli di Leonardo Di Costanzo, docente agli Ateliers Varan di Parigi, scuola di formazione per documentaristi su lezione di Jean Rouch, antropologia visiva che distilla il reale e lo ritrasmette depurato dallo spettacolo. Il regista 54enne di Ischia ha osato il passaggio alla narrazione, e dato agli abitanti del suo cinema una partitura libera nella bellissima fotografia di Luca Bigazzi e nel montaggio jazz di Carlotta Cristiani.
Un film che si posa sul viso di chi è sempre fuori quadro, e si confonde con le foglie e le pietre, e che sprigiona qualcosa di gioioso anche nel profondo dark, Veronica con i fiori in dono davanti al ritratto della sua coetanea, morta per non restare sola, proprio come lei. Dolcemente comico nei dialoghi dell’assurdo, L’Intervallo segue da vicino i suoi «eroi» abbandonati per un giorno, prigionieri finalmente liberi.

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