LAVORO E BENI COMUNI
Entro settembre va presentato in Cassazione anche il quesito contro «Svenditalia» Il deposito in Cassazione dei quesiti referendari per la tutela dei diritti dei lavoratori, che ha visto anche chi scrive nel comitato promotore, ha rappresentato un punto di svolta importante, ovvero l’assunzione di responsabilità politiche di partiti e forze sociali al fine di ripristinare la legalità costituzionale.
LAVORO E BENI COMUNI
Entro settembre va presentato in Cassazione anche il quesito contro «Svenditalia» Il deposito in Cassazione dei quesiti referendari per la tutela dei diritti dei lavoratori, che ha visto anche chi scrive nel comitato promotore, ha rappresentato un punto di svolta importante, ovvero l’assunzione di responsabilità politiche di partiti e forze sociali al fine di ripristinare la legalità costituzionale.
La proposta non potrà essere declinata unicamente all’interno delle procedure referendarie né limitarsi ad effetti abrogativi della norma: la “battaglia referendaria” dovrà avere la forza di porre al centro dell’agenda politica e del dibattito sociale il lavoro, i diritti sociali quali presupposti necessari e indispensabili per l’esercizio dei diritti politici e civili. Il referendum, dunque, per ampliare i processi democratici e partecipativi nella società, dalle scuole alle fabbriche. Ripristinare una scala gerarchica di valori e principi, nella consapevolezza che se non vengono rispettati e garantiti i diritti dei lavoratori, gli altri diritti saranno esercitati da sudditi e non da cittadini.
Non avrebbe neanche più senso parlare di differenza tra democrazia rappresentativa e partecipativa: entrambe si esprimono come attuazione dei diritti politici. L’impressione è che vi possano essere le condizioni, intorno a contenuti decisivi quale il lavoro, di porre in essere un patto per la legalità costituzionale.
Tuttavia quel patto risente ancora del passato e di un agire politico tradizionale dei partiti, in quanto soggetti decisori tendenzialmente distanti dai cittadini. Stiamo ancora all’interno della democrazia della rappresentanza, della delega; una foto, quella della scorsa settimana in Cassazione, molto distante dalla gioia del giorno in cui il “popolo dell’acqua” presentava i suoi quesiti, con quel misto di idealità e concretezza, estraneo al “pragmatismo dei numeri” dei partiti, ma che avrebbe portato al trionfo del giugno 2012.
Questo metodo va rilanciato sia per la campagna di raccolta firme per i quesiti sul lavoro che per un’altra battaglia referendaria che va associata a questa: i beni comuni. Beni del demanio naturale e storico-artistico sottoposti a processi di privatizzazione forzata, un tema che per sua vocazione va associato al tema del lavoro. La tanto auspicata valorizzazione di questi beni attraverso svendita e privatizzazione significa, innanzitutto, mortificare e ridurre i diritti dei lavoratori: l’efficienza si ottiene in particolare attraverso il ricorso a pratiche sempre più oscure di esternalizzazione di servizi. Lavoro e beni comuni, le due grandi categorie che più sono state vandalizzate negli ultimi 20 anni, insieme costituiscono il vero patto per il ripristino e l’attuazione della legalità costituzionale.
Da subito quindi il deposito di un quesito referendario che abbia come oggetto la tutela del demanio e del patrimonio del nostro Paese, oltre a fronteggiare i principi eversivi del fiscal compact, introdotto con un colpo di mano del Parlamento che ha modificato l’art.81 della Costituzione. Tale modifica dà copertura costituzionale alla svendita dell’Italia, a partire dal Monte Cristallo. In questo senso parallelamente al referendum contro “Svenditalia” dovrà partire un progetto d’iniziativa popolare teso a modificare l’art. 81, eliminando il pareggio di bilancio e introducendo l’obbligo per il bilancio di riservare il 50% alla spesa sociale. Un quesito che sia presentato da un comitato quanto più rappresentativo e ampio possibile, oltre i tatticismi delle alleanze e la voglia di primazia dei segretari di partito, che intenda l’istituto referendario come strumento politico capace di intrecciare rappresentanza e partecipazione.
E’ indispensabile non offrire agli speculatori la possibilità di acquistare a prezzo vile i “gioielli di famiglia”. Con tali vendite si va incontro a un fallimento economico, finanziario, sociale, culturale. La proposta referendaria intende abrogare le leggi che consentono la privatizzazione dei beni ambientali e culturali. E’ evidente che la battaglia referendaria si deve porre anche sul piano della proposta politica, partendo e andando oltre la Commissione Rodotà, avendo ben chiaro tuttavia che oggi basta una legge per vendere i beni demaniali: tutto è affidato alla discrezionalità del legislatore.
Un processo, quello della sdemanializzazione, molto poco garantista. Il processo di espropriazione, a fronte della sottrazione del bene al privato e solo per motivi di interesse generale, sancisce l’obbligo di corrispondere un indennizzo all’espropriato. Nel caso di sdemanializzazione, viceversa, non c’è alcun riferimento costituzionale ai motivi di interesse generale e il legislatore procede senza obbligo di “indennizzo alla collettività” per il bene alienato.
La disciplina codicistica della circolazione dei beni pubblici ha costituito il fondamento delle leggi che dal 2001 hanno disciplinato la cartolarizzazione degli stessi, prevedendo provvedimenti dell’autorità amministrativa per il passaggio di beni demaniali (o del patrimonio indisponibile) al patrimonio disponibile. Tali leggi hanno abilitato il ministro dell’economia e delle finanze ad adottare atti amministrativi e decreti con valore dichiarativo. L’effetto della svendita decorre a partire dall’adozione dei decreti del ministro.
Le operazioni accennate, pur deprecabili, sono legittime. L’effetto della cartolarizzazione può leggersi come conforme alla disciplina codicistica e non in palese difformità dalla Costituzione. Da qui la necessità di far ripartire il testo della Commissione Rodotà, ma proponendo insieme una modifica dell’art. 42 della Costituzione che introduca i beni comuni quali beni di appartenenza collettiva, dichiarandoli inusucapibili e inespropriabili, non sottoponibili a procedure di sdemanialiazzazione e oggetto di concessione solo in casi ben definiti e circoscritti dalla legge.
Il tempo dell’azione politica è ristrettissimo, entro settembre va presentato in Cassazione anche il quesito contro “Svenditalia”. Propongo che la raccolta delle firme sia effettuata insieme a quella dei referendum sul lavoro, l’obiettivo è unitario: la tutela dei diritti fondamentali e della legalità costituzionale.
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