Fu tessuto settant’anni fa dagli artigiani del secondo ghetto polacco. Dimenticato in un appartamento è ora esposto in un centro israeliano. Solo diecimila dei 204mila abitanti sopravvissero all’Olocausto. Di loro resta quest’opera cucita tra il 1941 il 1942 “Per anni è stato appeso a un muro della casa di mia madre. Ho voluto consegnarlo a chi tiene vivo il ricordo”
Fu tessuto settant’anni fa dagli artigiani del secondo ghetto polacco. Dimenticato in un appartamento è ora esposto in un centro israeliano. Solo diecimila dei 204mila abitanti sopravvissero all’Olocausto. Di loro resta quest’opera cucita tra il 1941 il 1942 “Per anni è stato appeso a un muro della casa di mia madre. Ho voluto consegnarlo a chi tiene vivo il ricordo”
BERLINO. Opera di artisti e artigiani, fu un atto di resistenza. Sopravvisse all´Olocausto, e per settant´anni rimase quasi dimenticato in un semplice appartamento. Adesso è riemerso dal passato, con tutto il suo carico di memoria, e lo Shem Olam Institute israeliano, fondato dal rabbino Avraham Krieger per studiare la cultura ebraica nell´Europa occupata dal Terzo Reich, lo ha esposto in pubblico. È il tappeto del ghetto di Lodz, fu tessuto in segreto dagli ebrei della città – sfruttati come bestie dai nazisti – per celebrare il Rosh Hashanah, il capodanno ebraico.
Di quei tessitori coraggiosi non sappiamo nulla: né il nome, né quanti fossero, né se riuscirono a sopravvivere come sì e no diecimila dei 204mila abitanti del ghetto. Di loro resta quell´opera. Il grande tappeto, con un grande ragno nero su una ragnatela, simbolo del nazismo e delle armate hitleriane che occupano l´Europa e avviano l´Olocausto, e una stella gialla a sei punte, come quella che i tedeschi costrinsero ogni ebreo dei paesi invasi a portare sulla giacca o sul cappotto. Marchio per essere identificati, ma anche, per i tessitori ignoti, immagine della speranza. E sul tappeto è tessuta una data, riferita agli auguri per l´anno nuovo: anno 5702 del calendario ebraico. Corrisponde a un periodo a cavallo tra il 1941 e il 1942, quando appunto a Lodz i tedeschi accelerarono il ritmo industriale del genocidio.
«Per anni e anni questo tappeto rimase appeso a un muro dell´appartamento di mia madre», ha raccontato la donna polacca che lo ha scoperto. «Mamma si trasferì a Lodz da un villaggio vicino, dopo la guerra. Trovò alloggio in una zona abbandonata, aveva fatto parte del ghetto. Oggi mia madre è anziana, ho voluto evitare che quel tappeto andasse perduto, per cui ho voluto consegnarlo a chi tiene vivo il ricordo».
Ancora oggi, Lodz è nota come la Manchester polacca, perché col fiorire dell´industria tessile, divenne uno dei poli della rivoluzione industriale nella Mitteleuropa. E insieme, fu uno dei centri più vivaci dell´ebraismo europeo: erano ebrei circa un terzo dei suoi 672mila abitanti, quando il 30 settembre 1939, dopo un mese di disperata resistenza su due fronti delle forze armate polacche, la Wehrmacht nazista e l´Armata rossa completarono l´occupazione e la spartizione della Polonia. Già nel dicembre 1939, i nazisti ordinarono di concentrare tutti gli ebrei in un ghetto, tra parte della città vecchia e l´adiacente quartiere di Baluty. Il resto della città avrebbe dovuto essere “Judenfrei”, «libero dalla presenza di ebrei». Palizzate e muri, con pochi varchi presidiati da militari e poliziotti tedeschi, chiusero il ghetto. Le 47 scuole ebraiche furono chiuse d´autorità. Ogni contatto o commercio con gli “ariani”, inclusi i tedeschi portati da Ovest a “germanizzare” le terre di conquista fu vietato.
Nella Polonia occupata (unico paese invaso da Hitler dove non nacque mai un´autorità collaborazionista) il ghetto di Lodz fu il secondo per popolazione dopo quello di Varsavia. Agli abitanti fu imposto il pesante lavoro da schiavi (tessili, uniformi, altri accessori) per la Wehrmacht, in 117 fabbriche o officine. I contatti con l´Armia Krajowa, l´esercito partigiano guidato dal governo in esilio a Londra, e i resistenti ebraici, per fuggire e combattere, furono resi quasi impossibili dai nazisti. I tedeschi ammassarono nel ghetto di Lodz ebrei deportati da altrove in Europa, e rom destinati anch´essi al genocidio. Scuole e stamperie erano clandestine, come lo furono teatro, concerti, fotoreportage sulla fame, e la tessitura del tappeto. O la compilazione dell´album delle firme dei bimbi del ghetto, messo insieme per ricordare di essere esistiti e poi nascosto. Proprio nel 1942, nell´anno nuovo salutato dal tappeto, cominciarono deportazioni di massa verso i campi di sterminio nazisti di Chelmno e poi Auschwitz. Ventimila bambini furono portati via a settembre, l´ospedale pediatrico fu svuotato a forza. Ci furono suicidi collettivi di famiglie intere per sfuggire ai treni della morte.
Albert Speer, ministro degli armamenti, voleva tenere in vita gli operai-schiavi del ghetto per rifornire la Wehrmacht. Ma nel 1944, con la ritirata davanti ai russi, Himmler lo convinse a farne a meno. Vennero massacri e deportazioni finali. Restano solo quel tappeto ritrovato, e l´album delle firme dei bambini al museo dell´Olocausto di Washington, a ricordare quei quasi duecentomila sterminati e la loro voglia di sopravvivere.
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