Quel che resta del 99 per cento

C’è una clessidra. I movimenti cresciuti spontaneamente dal basso sono destinati a declinare e consumarsi, e lasciare di nuovo il posto alla politica verticale e ai poteri costituiti. È vero? È vero. Ma la politica verticale e i poteri costituiti sono destinati a logorarsi e strafare, aprendo la strada ai movimenti cresciuti spontaneamente dal basso. Non è vero? A volte, una ventata più forte rovescia la clessidra. Dunque, a che punto siamo? Nel luglio di un anno fa una rivista canadese legata a una fondazione ambientalista e anticonsumista, convocò per il 17 settembre una occupazione pacifica di Wall Street. Non so se pensassero davvero che succedesse: successe. Il loro proposito era di ripetere a New York l’occupazione di piazza Tahrir al Cairo e di Puerta del Sol a Madrid.

C’è una clessidra. I movimenti cresciuti spontaneamente dal basso sono destinati a declinare e consumarsi, e lasciare di nuovo il posto alla politica verticale e ai poteri costituiti. È vero? È vero. Ma la politica verticale e i poteri costituiti sono destinati a logorarsi e strafare, aprendo la strada ai movimenti cresciuti spontaneamente dal basso. Non è vero? A volte, una ventata più forte rovescia la clessidra. Dunque, a che punto siamo? Nel luglio di un anno fa una rivista canadese legata a una fondazione ambientalista e anticonsumista, convocò per il 17 settembre una occupazione pacifica di Wall Street. Non so se pensassero davvero che succedesse: successe. Il loro proposito era di ripetere a New York l’occupazione di piazza Tahrir al Cairo e di Puerta del Sol a Madrid.

Esperti com’erano di malizie pubblicitarie, produssero un manifesto meraviglioso: una ballerina che esegue la sua figura di danza su un piede solo, sul dorso dello scalpitante toro di bronzo (siciliano) che è diventato il simbolo della Borsa. Per qualche mese quel rodeo visse il suo stato di grazia. «Dove andrà a finire questa armata Brancaleone?» si chiedeva già con piena simpatia Riccardo Staglianò nel suo libro-reportage da Occupy Wall Street. A guardarlo dalla Piazza Tahrir di oggi, dove le donne hanno paura di passare, dal Cairo nel quale i manifestanti strappano la bandiera sull’ambasciata americana, il bilancio è quasi irridente. E lo è altrettanto a guardarlo dalla campagna elettorale di Mitt Romney e del suo sincero disgusto per i poveri. Ma la lena dei movimenti non si misura su un anniversario. Che Occupy Wall Street, e Zuccotti Park, non potesse durare quanto proclamava — «per sempre» — era nel conto. Sulla democrazia diretta piove, e le polizie sono manesche e quando trovano migliaia di libri prima chiedono sbigottite: «Ma li avete letti tutti?», poi li squinternano, e la divisione fra chi ha una doccia a portata di piedi e chi no si fa sentire e così via. Anzi, Ows ha avuto il pregio di fornire dei resoconti così sensati e istruttivi dei problemi che incontrava, gabinetti e docce compresi, da far rimpiangere che non si facesse altrettanto ai tempi andati, quando la politica era tutto.
Del resto il capitale finanziario è storia antica, ma ancora nel famoso Sessantotto il colmo del cedimento umano, come dicevano le canzoni, era di diventare bancario, e il banchiere era ancora una figura astratta. Ora, il desiderio di mettere in galera i banchieri è diventato vasto e pressoché irresistibile, e intanto i banchieri menano le danze internazionali, aggrappati mani e piedi alla groppa del toro furente, e vanno a presiedere i governi dei paesi col debito in emergenza. I bancari: licenziati. A leggere quelle belle cronache sulla vita quotidiana e la democrazia diretta di Occupy — a New York e nelle centinaia di altre città in cui si è tentata — viene voglia di accostarla a quello che succede in una tendopoli di terremotati emiliani, non so, a distanza di qualche mese: dove chi poteva è andato altrove, e rimane chi non poteva, i vecchi soli, i barboni, gli stranieri poveri, e si radunano e si separano per tribù. Era bella, la stagione originale del movimento, con le frasi degli oratori ripetute senza microfono da un ascoltatore all’altro, come in un gioco del telefono di cui si potessero controllare equivoci e distorsioni: e del resto il Discorso della Montagna fu tenuto senza microfono, ed ebbe una risonanza forte.
Che cosa è restato? Be’, la Robin Tax, per esempio. Non è un errore di stampa, come conferma il cartello: «Robin Hood aveva ragione». È restata l’idea che una colossale disuguaglianza è insopportabile, e che è una buona ragione per proporre un cambiamento a quasi tutti. Non “ai delusi di Obama”, e nemmeno “ai delusi di Berlusconi”: a quasi tutti, al 99 per cento. Intendiamoci: anche di quel «siamo il 99 per cento» si sapeva che semplificava un po’ le cose, e oltretutto nelle specificazioni l’Uno per cento deteneva di volta in volta un quinto, o il 40 per cento, o il 75 per cento della ricchezza, e tuttavia era comunque un’enormità. Il 99 per cento di Stiglitz era una metafora leggera e spericolata come la ballerina sul toro alla carica, ed era facile obiettare: diciamo che il 99 per cento controlla il 60 per cento, l’1 per cento di quel 99 quanto controlla? E così via — come Achille e la tartaruga: si arriverà mai al proletario in fondo — all’1 per cento che tiene sulle spalle, come Atlante, il restante 99?
È un fatto che una netta maggioranza di americani aveva simpatizzato per Ows, e l’idea è chiara: non si tratta di abolire la disuguaglianza, ma di tagliarle le unghie. Che poi questo possa avvenire senza abolire il capitalismo, è altra questione: come quella se l’arraffa- arraffa contemporaneo possa ancora vantarsi capitalismo. E quella della criminalità: Roberto Saviano (il suo ricordo di Ows uscirà su D di Repubblica) andò a Zuccotti Park a parlare da italiano di mafia e finanza al tempo della crisi, e di come combatterla.
Intanto, Ows è restata pacifica e gli aeroplanini di carta lanciati contro le banche d’affari nella città dell’11 settembre sono un’altra bella metafora. L’onda di Ows non si è mutata in risacca, e nemmeno le primavere arabe hanno rovesciato per intero le loro promesse. Agli oltranzisti della finanza rapace seccherebbe molto, immagino, di essere paragonati ai salafiti delle primavere arabe, ma giocano anche loro col fuoco. Domani Ows si commemorerà, o inaugurerà il suo secondo autunno, e le elezioni presidenziali sono lì alla porta. Il miliardario Buffett dichiarò di voler pagare di tasse almeno quanto la propria segretaria, e Obama trovò, un po’ in lui, un po’ nella gente di Occupy, il coraggio di rivendicare che «un miliardario versasse almeno le stesse tasse della sua segretaria ». È, in un compendio eufemistico, la posta delle elezioni, benché non la posta del movimento.
Un mio amico in gamba che ha studiato alla Bocconi mi ha detto di aver imparato una cosa soprattutto: che la cosa più insopportabile per le persone è di essere costrette a vivere peggio di come erano abituate a fare. Nella nostra parte di mondo la povertà esiste eccome, ma è l’impoverimento a segnare l’epoca, ed è l’altra faccia dell’arricchimento sfrenato e oltraggioso. Leggo che «da gennaio ad aprile 2012, il patrimonio delle quaranta persone più ricche del mondo si è accresciuto di 95 miliardi di dollari». Se è insopportabile per le persone, figurarsi per le generazioni intere. Alle quali oggi le autorità competenti illustrano la loro lezione: «Staremo peggio per poter stare meglio». È la ricetta universale, governo Monti compreso. Ma persone e generazioni la capiscono così, che staremo peggio, e basta. L’1 per cento si sbriga a rimettersi in sella, anche dopo le batoste: le fa pagare agli altri. Si fa vedere meno: è la differenza fra il mercato finanziario e la piazza del mercato, la Borsa e il giardinetto di Zuccotti, o della Libertà. Gli affari del mondo non possono regolarsi nella piazza del mercato, nell’agorà della democrazia diretta: però il mondo è pieno di piazze. Alcune, come a Pechino, o a Pyongyang, sembrano fatte apposta per riempirsi di ragazzi coi bonghi.

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