Lettera al «Foglio»

Il 18 giugno 2010, in risposta a un articolo de “il manifesto” a mia firma che giudicava inattendibile il piano Fabbrica Italia e sosteneva di conseguenza l’urgenza di mettere in cantiere la riconversione ad altre produzioni di una parte almeno degli stabilimenti del gruppo Fiat per scongiurarne l’altrimenti inevitabile chiusura, il quotidiano “il foglio” mi dedicò un’intera pagina (Processo alla Fiat), corredata dal pugno di Lotta Continua per rimarcare la mia matrice culturale che non ho mai rinnegato.

Il 18 giugno 2010, in risposta a un articolo de “il manifesto” a mia firma che giudicava inattendibile il piano Fabbrica Italia e sosteneva di conseguenza l’urgenza di mettere in cantiere la riconversione ad altre produzioni di una parte almeno degli stabilimenti del gruppo Fiat per scongiurarne l’altrimenti inevitabile chiusura, il quotidiano “il foglio” mi dedicò un’intera pagina (Processo alla Fiat), corredata dal pugno di Lotta Continua per rimarcare la mia matrice culturale che non ho mai rinnegato.
In quella pagina ben sette collaboratori di questo giornale si alternavano a tacciare di ideologismo le mie valutazioni e, con l’eccezione di due (Riccardo Ruggeri e Stefano Cingolani) ad accreditare la validità del piano Fabbrica Italia, pur esprimendo (con l’eccezione di Francesco Forte, che lo avallava senza tentennamenti) qualche perplessità sulle possibilità di una sua realizzazione integrale.
Ora quel piano è stato ufficialmente dichiarato defunto, anzi, mai nato. Era solo fuffa, pagata a caro prezzo dagli operai della Fiat, costretti a un referendum che subordinava la sua realizzazione alla rinuncia a una parte sostanziale dei propri diritti; ma anche dal paese tutto, sprofondato dalla «cura Marchionne» in un nuovo medioevo; e pagata con il ridicolo da chi come Renzi, Chiamparino o Fassino si erano schierati con Marchionne («senza se e senza ma»). Nessuno, comunque, aveva dubitato delle intenzione di Marchionne. Non mi aspetto dagli estensori di quella pagina le scuse per gli sfottò di cui era impegnata; ma un po’ di deontologia professionale dovrebbe indurli a chiedersi perché le mie (e non solo mie) valutazioni si siano dimostrate corrette e le loro completamente sbagliate. E, soprattutto, se il progetto di una riconversione degli stabilimenti è un’utopia, che cosa pensano di proporre alle decine di migliaia di lavoratori cancellati dall’azzeramento di quel piano?

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