La rivoluzione torna in strada, danzando

Intervista. Un incontro a Bologna con i «Brotha from another Motha» (fratelli di un’altra madre, in slang inglese), giovani ballerini e coreografi tunisini.

Abbiamo un forte legame con la politica e il sociale. Il paese si sta incamminando verso una nuova fase. Noi cerchiamo di costruire una nuova generazione

Intervista. Un incontro a Bologna con i «Brotha from another Motha» (fratelli di un’altra madre, in slang inglese), giovani ballerini e coreografi tunisini.

Abbiamo un forte legame con la politica e il sociale. Il paese si sta incamminando verso una nuova fase. Noi cerchiamo di costruire una nuova generazione BOLOGNA.  Cinque giovani danzatori tunisini si muovono in maniera energica, scattante, a volte violenta, in una piazza di Bologna, poco distante dalla stazione. Sono i Brotha from another Motha (fratelli di un’altra madre, in slang inglese), per la prima volta in Italia, ad inaugurare con And so! & Alors!, la sedicesima edizione del festival danza urbana. Il collettivo è nato grazie al danzatore e coreografo Seifeddine Manai, che da anni vive in Francia per studiare al Centro nazionale di danza contemporanea di Angers. Un lavoro potente e intenso, dedicato alla primavera araba che si è consumata per le strade e le piazze del paese. Proteste che hanno sconvolto la Tunisia con i giovani in prima linea nella lotta per la libertà e la democrazia. La strada e i suoi rumori irrompono nelle coreografie dei danzatori, che provengono dalla cultura hip hop, testimoni diretti di quella rivoluzione. Acrobazie perfette, nonostante il terreno bagnato e scivoloso, rumori di camion, sirene, urla e fischi come sottofondo quando non c’è la musica elettronica composta ad hoc a cadenzare passi e salti.
Sembra di vederle le strade e gli spazi pubblici occupati a Tunisi. In scena Ali Selimi, Hichem Chebli, Hamdi Dridi, Yassine Romdania, Hamza Ben Youssef s’incontrano, parlano, poi improvvisamente scoppia la violenza: botte, sputi, corpi pestati e che si scontrano l’uno con l’altro. Chi scappa e chi sfodera le pistole. Feriti a terra trascinati via dagli amici, liti, lotte e sopraffazioni in un ritmo incalzante. Cadono a terra, e, come in una metafora del paese, si rialzano e ricominciano la protesta. C’è chi prega in direzione della Mecca, chi con la mano fa il segno di vittoria. Tutto a un ritmo sostenuto. Uno spettacolo toccante in cui la danza, come dice Manai, «è anche politica». Lo spettacolo è stato commissionato dal Centro d’arte e cultura Ferme du Buisson di Parigi. Manai è anche fondatore del collettivo Upper Underground Crew e leader della Zulu Nation in Tunisia. La giovane compagnia lavora soprattutto nei circuiti underground di Tunisi e Nord Africa. Abbiamo incontrato Manai a Bologna.
Com’è nato il collettivo?
Dopo la rivoluzione sono rientrato nel mio paese e ho fatto diverse audizioni per raggruppare alcuni giovani di talento. Il tema era la politica, ma non volevamo cadere nei soliti cliché. Molti artisti hanno lavorato sulla rivoluzione, è diventata una moda, noi ci siamo ispirati alla realtà per evitare gli stereotipi. Tutti i danzatori hanno vissuto la rivoluzione in prima persona. Questa è stata la nostra fonte d’ispirazione. Io l’ho sperimentata da fuori, ero all’estero e non potevo rientrare. Il fatto di essere coinvolti personalmente rappresenta un valore aggiunto. In questo lavoro non si può mentire, aver vissuto quella stagione permette di far passare con forza un messaggio.
Cosa hai voluto portare in scena?
Lavoro molto sul movimento, sono stato formato alla fisicalità e ho preteso una forte espressione del corpo per evocare ciò che è accaduto. Lo spettacolo trasmette una forte energia e molto coinvolgimento motivo. La nostra ispirazione si basa sulle emozioni. Anch’io ho guardato And so! & Alors! da spettatore e ho sentito esattamente quello che cercavo. È una storia accessibile a qualsiasi pubblico. Contiene un messaggio che viene portato in giro, nel mondo. Non c’è una definizione che possa spiegare la rivoluzione, è una questione personale, intima che sveliamo attraverso un linguaggio artistico, ma senza spiegarlo fino in fondo. È uno squarcio su un «altrove».
La musica è stato un elemento importante delle proteste… Che ruolo ha nello spettacolo?
Lo accompagna interamente, ho lavorato ai suoni insieme al compositore. Ho riprodotto i rumori reali della strada e dei suk di Tunisi. Ho evitato la musica commerciale, scegliendo una sorta di rock arabo metropolitano.
«And so! & alors! » è uno spettacolo politico…
In questo progetto abbiamo un forte legame con la politica e il sociale. Il nostro è un messaggio collettivo. È un’etichetta che ci assumiamo in pieno. La Tunisia sta cambiando, si sta incamminando verso una nuova fase. Con la compagnia sto cercando di costruire una nuova generazione.
Cos’hai trovato di mutato nel paese dopo la rivoluzione?
Il clima, la gente è più libera, ma dopo un anno e mezzo il cambiamento non è ancora compiuto. È uno sconvolgimento per la società, ora c’è bisogno di metabolizzare quella stagione per costruire qualcosa di nuovo. Il paese, adesso, vive il momento più critico, più delicato.
Cosa rappresenta per voi la strada?
È una fonte d’ispirazione importante, abbiamo debuttato in una vecchia stazione di Tunisi. Per rappresentare questa pièce a danza urbana siamo stati spinti a «occupare» le vie come prima. È il territorio perfetto. La rivoluzione è stata un fenomeno dei giovani. Nessuno credeva che un piccolo paese potesse farne una, ma la gente era stanca e voleva esprimersi. Le nuove generazioni si sono ribellate e hanno chiesto con forza la libertà.
Dove porterete «And so! & alors!»?
Saremo a Annecy, poi in Germania, a San Francisco e Mosca. È un progetto che vogliamo proteggere per non rischiare di essere risucchiati in un meccanismo. Manteniamo la nostra semplicità restando uniti, maturiamo insieme, guardando a una dimensione urbana.

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