Alfabeto brasileiro
«Liberdade essa palavra / que o sonho humano alimenta/ nà£o hà¡ ninguém que explique / e ninguém que nà£o entenda». Così Cecàlia Meireles chiude il Canto XXIV di Romanceiro da Inconfidàªncia un poema nel quale grande scrittrice brasiliana celebra la lotta,nel Brasile del XVIII secolo, per la libertà : parola che alimenta il sogno umano, e che nessuno può spiegare, ma che ciascuno intende, scrive.
Alfabeto brasileiro
«Liberdade essa palavra / que o sonho humano alimenta/ nà£o hà¡ ninguém que explique / e ninguém que nà£o entenda». Così Cecàlia Meireles chiude il Canto XXIV di Romanceiro da Inconfidàªncia un poema nel quale grande scrittrice brasiliana celebra la lotta,nel Brasile del XVIII secolo, per la libertà : parola che alimenta il sogno umano, e che nessuno può spiegare, ma che ciascuno intende, scrive. L’autrice narra la tristissima e nobile vicenda della cosiddetta «Inconfidência Mineira», ossia la rivolta guidata da Tiradentes, contro i portoghesi, repressa grazie a un tradimento (la «inconfidência», appunto): il tutto nello Stato di Minas Gerais («mineira»), forse la riserva più significativa di storia, folclore, umanità dell’intero Brasile; il luogo forse più eccessivo di un paese eccessivo, dove generosità e crudeltà si confrontano quotidianamente. Più dei cittadini di ogni altro Stato, i mineiros si sentono orgogliosamente nazione, ma anche comunità e famiglia.
Se Cecilia scelse questo episodio per inneggiare alla libertà, non fu senza ragione. In effetti, la rivolta guidata da Joaquim José da Silva Xavier, detto Tiradentes, spregiativamente, dai suoi carnefici, per la professione medica esercitata da questo autentico figlio del popolo, nato nel 1746, e mandato al patibolo il 21 aprile 1792, oggi festa nazionale in Brasile. La ribellione da lui organizzata contro i portoghesi, fu determinata dalla consapevolezza che le enormi ricchezze minerarie del paese venivano tutte dirottate verso il Portogallo, allora impegnato nelle guerre napoleoniche. E la sua terra, il Brasile, rimaneva in una situazione di estrema povertà. Tradito da un membro della cospirazione, volta a dichiarare la Repubblica Brasiliana, nel giorno del pagamento delle imposte, ulteriormente maggiorate, alla Corona di Lisbona, quando l’odio dei nativi raggiungeva il picco massimo verso gli oppressori stranieri, Tirandentes fu impiccato, e il suo corpo, fatto a pezzi, esposto in varie città. Nel suo sangue fu intinta la penna per vergare un documento ufficiale che dichiarava «infame» la memoria del ribelle. Ma oggi il Brasile tutto lo venera come il più luminoso esempio di lotta per la libertà. E sulla bandiera dello Stato di Minas Gerais si legge un motto latino: Libertas quae sera tamen. La libertà che arriverà comunque, ossia anche tardi. E il Brasile l’ha attesa a lungo la sua libertà. E l’ha persa dopo averla conquistata, e ripersa e ripresa ancora. Con Getulio Vargas negli anni Trenta, con i generali nei Sessanta, per poi ricuperarla vent’anni più tardi. Ma esiste anche la libertà intesa come «liberazione» delle classi dominate dal bisogno, dalla fame, dall’oppressione dei ceti dominanti. E qui settori del cattolicesimo e, meno, del protestantesimo, hanno svolto un ruolo importante, con religiosi quali Helder Camara, Paulo Evaristo Arns, Leonardo Boff, il quale gettò la spugna, nel 1992, abbandonando il suo ordine, il francescano, davanti alla politica repressiva messa in essere da Roma sotto papa Woytila: alla «teologia della liberazione» era ormai succeduta la teologia della restaurazione. E non solo in America Latina.
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