I come Italianos

Alfabeto brasileiro

Nel miscigenaà§à£o brasiliano, la componente italiana è importantissima. Non navigatori, poeti e santi,ma innanzi tutto i poveri cristi, gli emigranti partiti nel tardo Ottocento, sono coloro che hanno sostituito gli schiavi dopo che l’escravage fu abolito nel 1888 dalla reggente Isabella, detta appunto la redentora.

Alfabeto brasileiro

Nel miscigenaà§à£o brasiliano, la componente italiana è importantissima. Non navigatori, poeti e santi,ma innanzi tutto i poveri cristi, gli emigranti partiti nel tardo Ottocento, sono coloro che hanno sostituito gli schiavi dopo che l’escravage fu abolito nel 1888 dalla reggente Isabella, detta appunto la redentora. Ma senza alcuna compensazione, neppure morale. Ai fazenderos conveniva assumere gli immigrati, disposti a lavorare per salari appena in grado di assicurare una stentata sopravvivenza. Ecco: gli italiani costituirono nel Brasile del tempo la comunità di migranti più numerosa, reclutata nella «moderna schiavitù salariale», per dirla con Marx.
Oggi questa sarebbe una classica storia dimenticata. Se non fosse per le novelas televisive, parecchie delle quali hanno un fondo storico, e sono di grande interesse, se si riesce a superare il fastidio, davanti a situazioni che vogliono essere tragiche e sono patetiche, a grotteschi i personaggi, dai modi caricaturali, con un modo di parlare l’italiano cantilenato che sembra oggi essersi imposto. Eppure c’è da imparare, soprattutto rispetto alla percezione che hanno di noi i brasiliani, che, peraltro, sono spessissimo nipoti o pronipoti di nostri connazionali. In sintesi, ci guardano con affetto, e con un po’ di ironia, quella verso i parenti poveri, insomma. Ma non c’è commiserazione. Terra Nostra o Esperança due cult, offrono anche spezzoni di filmati d’epoca, e mescolano la grande storia con le piccole storie. La prima puntata di Terra Nostra, dopo un Va’ pensiero… obbligatorio, mostra una coppia di anziani sul ponte della nave; intorno a loro la torma dei migranti balla la tarantella. La donna dice: «Non capisco cos’hanno da stare allegri…» – E l’uomo: «non è allegria, è soltanto speranza!». Più avanti una canzone accompagna lo spuntare in lontananza delle coste americane. Il testo recita: «A esperança è o Brasil!».
Gli italiani, delle classi subalterne, provenienti dalle plaghe più povere, dunque sono stati fondamentali nella costruzione del Brasile moderno, e oggi sono integrati perfettamente; anzi se un piccolo rimbrotto si può muovere loro, è proprio l’aver reciso le radici: studenti e professori, commessi e ristoratori, che vantano antenati veneti, calabresi, campani, piemontesi, siciliani, toscani…, perlopiù a distanza di due generazioni ignorano persino la zona d’Italia da cui con in tasca solo un certificato di viaggio i loro nonni e bisnonni si recavano ai porti da dove «partono ‘e bastimenti pe’ terre assai luntane…». Recano cognomi italiani, talora storpiati; ma nessuno sa l’italiano, se non per espressioni, spesso curiose, apprese nelle novelas, e che usano perlopiù in modo curioso: «Caspita!», «Maledetto!», «Mamma mia!»… Qualcuno ora la sta studiando, la lingua di Dante, e ciò costituisce, in un bizzarro circuito, un’occasione di lavoro per i nuovi migranti, quei 72 mila giovani – forniti spesso di dottorato, non solo di laurea – giunti in Brasile nel solo 2011 e che spesso in scuole o università, come precari, insegnano l’italiano. Molti di loro si sistemeranno, qualcuno se ne andrà, ma non certo per tornare in Italia, ingrata patria, oggi come ieri.

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