EX FABBRICA (ITALIA)
Sabato prossimo a palazzo Chigi a Roma, Sergio Marchionne dirà al presidente del consiglio Mario Monti e al suo governo che cosa intende fare del primo gruppo industriale italiano e delle migliaia di persone che ancora ci lavorano. L’amministratore delegato ha anticipato la sua linea in una intervista (telefonica) a Repubblica. Un’intervista dal tono difensivo, di un manager in difficoltà spaventosa non nei confronti di un governo che finora gli ha lasciato mano libera, ma di un mercato in crisi affrontato con scelte sbagliate.
EX FABBRICA (ITALIA)
Sabato prossimo a palazzo Chigi a Roma, Sergio Marchionne dirà al presidente del consiglio Mario Monti e al suo governo che cosa intende fare del primo gruppo industriale italiano e delle migliaia di persone che ancora ci lavorano. L’amministratore delegato ha anticipato la sua linea in una intervista (telefonica) a Repubblica. Un’intervista dal tono difensivo, di un manager in difficoltà spaventosa non nei confronti di un governo che finora gli ha lasciato mano libera, ma di un mercato in crisi affrontato con scelte sbagliate.
E’ tuttavia un’intervista utile. Per almeno due motivi. E’ utile per una cosa che dice sulle fabbriche e perché rivela gli errori fatti, anche a chi non segue da vicino le vicende industriali dell’auto.
Partiamo dalla prima: oggi Marchionne sostiene che «in questa situazione drammatica, io non ho parlato di esuberi, non ho proposto chiusure di stabilimenti, non ho mai detto che voglio andar via». Il manager aveva però minacciato di chiudere due fabbriche in Italia (intervista al Corriere della sera, febbraio 2012), poi una soltanto (Torino, luglio 2012). Sabato, Monti dovrebbe almeno strappargli la conferma che il prossimo 30 ottobre, alla presentazione dei dati del terzo trimestre del gruppo, l’azienda non proponga nessuna chiusura di stabilimenti in Italia. Resterebbe quasi certamente la prospettiva di una morte lenta per cassa integrazione, ma questo è un altro punto del problema che il governo dovrà comunque porsi.
Nell’intervista, Marchionne dice poi che in Europa il gruppo perde 700 milioni, ma la Chrysler, le vendite nelle Americhe e quel poco che arriverà da altri mercati emergenti (dove Fiat è assente o in forte ritardo) stanno salvando la baracca. E sottolinea che proprio a causa di questa crisi ha rinviato molti prodotti e cancellato il piano industriale Fabbrica Italia, con i suoi 20 miliardi di investimenti annunciati nell’aprile del 2010. Qui Marchionne conferma di non essere quel che in America (dove pure resta piuttosto popolare) sarebbe chiamato un car guy. Perché è noto che quando i mercati sono in calo (l’Europa lo è da cinque anni consecutivi), per reggere bisogna conquistare gli spazi lasciati vuoti dalla concorrenza, facendo modelli nuovi che attirino chi ha ancora soldi in tasca e voglia di spenderli.
«Con nuovi modelli lanciati oggi spareremmo nell’acqua: un bel risultato», dice Marchionne. Ma senza novità, è la Fiat a non «sparare» più. Non si capirebbe altrimenti perché per esempio gli arrembanti costruttori sudcoreani o la Volkswagen siano ben sopra la linea di galleggiamento. E’ ovvio (dall’intervista sembra che non lo sia) che la missione di ogni costruttore è quella di fare macchine attraenti, innovative e che si vendano, pena perdere quote e soldi. Ma nell’intervista Marchionne cita la Panda costruita a Pomigliano «la migliore Panda nella storia e il mercato non la prende, perché non c’è». Un esempio discutibile: la qualità produttiva è alta, lo stabilimento ha ricevuto investimenti veri per 800 milioni, ma l’auto è solo un restyling del modello precedente, di cui eredita pianale e motori. La «migliore», non la migliore possibile in un mercato dove si combatte con il coltello in bocca.
In questo quadro, l’intervista chiarisce – perfino ai troppi che lo avevano ignorato – l’evanescenza del piano Fabbrica Italia ora annullato. Marchionne, a dire il vero, l’aveva anticipato il 27 ottobre dell’anno scorso con un altro comunicato. E volendo, lo aveva ammesso nella sua intervista a Report del marzo 2011, quando dichiara che i 20 miliardi promessi non li aveva: «Li farò vendendo macchine». Se le avesse prodotte.
Nell’incontro di sabato, Monti e i suoi ministri potrebbero ricordare a Marchionne che la sovracapacità produttiva in Europa occidentale è un problema preesistente a Fabbrica Italia di almeno un decennio e che il calo del mercato è sempre stato affrontato da tutti i costruttori in altro modo, con risultati alterni. E se la grande depressione iniziata nel 2008 non è finita nel 2010, come sosteneva Marchionne (in grandissima compagnia), vuol dire che quantomeno ha mancato in capacità di previsione. Non è poco, per chi dirige una multinazionale.
Il ministro del lavoro Elsa Fornero si è sentita rassicurata dall’intervista («bella, sotto tanti punti di vista»), mentre Giorgio Airaudo della Fiom chiede al governo un altro passo: «Non è la prima volta che dice che mantiene le fabbriche in Italia con le vendite ed i profitti fatti all’estero. E’ sempre più urgente che questo Paese stabilisca un patto con la Fiat, serve un accordo e solo il governo può farlo. Uno dei tanti accordi che la Fiat ha fatto in giro per il mondo».
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