Benny Golson, la leggenda del jazz è sempre di moda

CONCERTI Milano palcoscenico anche della rentrée di Michel Portal
Il suo linguaggio ha tratti di estrema classe e modernità . Un suono morbido e luminoso

CONCERTI Milano palcoscenico anche della rentrée di Michel Portal
Il suo linguaggio ha tratti di estrema classe e modernità . Un suono morbido e luminoso MILANO. Quando si va a da ascoltare un sassofonista di ottantatré anni, certo non ci si aspetta che sposti le montagne: se si chiama per esempio Benny Golson, ci si va innanzitutto in pellegrinaggio, a rendere omaggio all’uomo e alla carriera, e a compiacersi di trovarlo in buona salute. Al Blue Note per una sola sera, in quartetto con Kirk Lightsey al piano, Reggie Johnson al contrabbasso e Guido May alla batteria, Golson ovviamente dosa le forze, lascia spazio agli accompagnatori, in alcuni brani li fa suonare come trio, e fra un brano e l’altro prende tempo: anche perché adora scherzare («vedete gli spartiti ? In realtà non abbiamo assolutamente bisogno della musica: vogliamo solo dare l’impressione che abbiamo studiato al conservatorio») e intrattenere il pubblico presentando i pezzi. Ma tiene il palco per due ore, al di là della durata concordata con il club, si diverte palesemente un mondo a suonare, il suo linguaggio ha dei tratti di modernità molto stimolanti e il suono in molti momenti è bellissimo, morbido e luminoso. E poi c’è il piacere di ascoltare un pezzo di storia del jazz che racconta, e che trasforma un nome leggendario come quello di Clifford Brown in quella presenza vivissima che dopo quasi sessant’anni per Golson il trombettista, rimasto ucciso giovanissimo nel ’56 in un incidente, deve essere rimasto: Golson lo ricorda come «fantastico strumentista, una bella persona e un grande compositore per presentare il suo Tiny Capers, poi, per introdurre il proprio I Remember Clifford, non senza humour ma rendendo il dolore rievoca il momento, durante un ingaggio con Dizzy Gillespie all’Apollo Theater, ad Harlem, in cui arriva la notizia della morte di Bown: e suona poi il suo cavallo di battaglia con un sound particolarmente delicato, soffice.
Direttore musicale dei Jazz Messengers di Art Blakey, cointestatario con Art Farmer del Jazztet, sassofonista a tutta prova, penna felice nel creare grandi standard , Golson è l’incarnazione del tipo di «vero» jazzmen nei confronti del quale Michel Portal ha nutrito un complesso di inferiorità che nemmeno il passare degli anni ha lenito. Senso di inadeguatezza ovviamente del tutto ingiustificato. Nell’ambito del cartellone di MiTo, Portal si è presentato al Teatro Manzoni in quartetto. Portal è uno di quegli uomini che a partire dagli anni sessanta ci hanno dato il brivido proprio di qualcosa che non era il jazz «americano», qualcosa di profondamente radicale e di peculiarmente europeo. Mezzo secolo dopo, per darci quel brivido non c’è bisogno dell’eroica baldanza del free di Portal di un tempo: basta l’apertura espressiva in una sola improvvisazione al clarinetto basso di cui è un fuoriclasse – apertura di idee, di timbri, di umori – la maestria nell’articolazione dei suoni del clarinetto basso, del clarinetto, del sax soprano, il senso di libertà e nello stesso tempo di eleganza che la sua musica comunica, e quel che di perturbante che in improvvisazioni mai di routine sopravviene sempre. E vibrafono, contrabbasso e percussioni sono stati eccellenti nell’assicurare all’estro di Portal situazioni varie, agili, mobili. Geniale il finale al bandoneon, nel quale si poteva misurare la distanza di Portal dal jazz che supplisce alla mancanza di audacia rifugiandosi nel folk: interprete classico (Mozart, Brahms…) e contemporaneo (Boulez, Stockhausen, Berio…) di livello assoluto, battistrada del free europeo, il Portal che al bandoneon intona tanghi e mazurche non si traveste ma è semplicemente se stesso, un musicista cresciuto nelle feste popolari e nelle balere basche.
Un musicista che – non solo al bandoneon – rivela uno slancio estatico, un’inclinazione alla possessione che viene dalla musica tradizionale; ma che anche al bandoneon mescola la sua natura profonda di musicista popolare con il riflesso intellettuale quasi da teatro dell’assurdo di chi ha fatto parte di un’esperienza indimenticata come New Phonic Art.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password