Strage dei minatori, la rabbia dei neri “Il Sudafrica è tornato all’Apartheid”

Bufera sul presidente Zuma e Malema lo attacca: “Sei un assassino”  

Bufera sul presidente Zuma e Malema lo attacca: “Sei un assassino”  

LA TEMPESTA perfetta è esplosa sulle colline di Wonderkop, con l’eccidio giovedì di 34 minatori in sciopero ad opera di poliziotti che si sono messi a sparare all’impazzata contro di loro. Il Sudafrica è precipitato in una crisi nazionale e il potere del presidente Jacob Zuma è messo in mora. «Non avremmo mai creduto che una cosa simile potesse succedere», ha riassunto la scrittrice premio Nobel Nadine Gordimer. Diciotto anni dopo la fine dell’apartheid, la questione sociale si conferma altrettanto esplosiva di quella razziale e il Paese si riscopre sull’orlo di un baratro.
Poco vale, mentre le donne dei minatori piangono i loro morti e la tensione alla miniera di platino di Marikana resta altissima, che il presidente sia precipitosamente rientrato dal Mozambico, dove era andato per un vertice regionale, annunciando la creazione di una commissione d’inchiesta. Nel luogo della protesta, diventato scena del crimine, sono già al lavoro gli inquirenti interni al corpo della polizia. Raccolgono
indizi, elementi materiali e testimonianze. Tuttavia l’evidenza del fatale concatenarsi degli avvenimenti è già in larga misura conclamata: lavoratori esasperati e violenti (nei giorni precedenti avevano ucciso due uomini delle forze dell’ordine); poliziotti spaventati e impreparati, senza alcuna altra arma antisommossa che non fosse da fuoco; una società mineraria, la Lonmin, con una consolidata fama di durezza nelle relazioni industriali; due sindacati in lotta per conquistare la rappresentanza operaia aizzando le maestranze a rivendicazioni sempre maggiori e alla bellicosità. Un contesto di povertà sconfinante
nella miseria, di frustrazione per un progresso sociale sempre promesso e mai arrivato, di slogan di liberazione tradottisi soltanto nell’arricchimento dei potenti.
Questi i fatti, ai quali le diverse inchieste aggiungeranno o toglieranno soltanto dettagli. Qualche testa cadrà, ed è perfino possibile che i minatori ottengano qualche aumento di paga, certo inferiore al 150 per cento
nel quale li facevano sperare sindacalisti irresponsabili. Le incognite vere tuttavia non sono di natura giudiziaria, e nemmeno sindacale: sono tutte politiche. Incognite che ieri, ventiquattro ore dopo la strage, hanno assunto i lineamenti ben pasciuti e volitivi di Julius Malema, il populista numero uno del Sudafrica, bestia nera del presidente Zuma e del suo partito, l’African National Congress, dal quale è stato
espulso qualche mese fa. Malema si è presentato a Wonderkop, acclamato dai minatori e dalle donne, unico uomo politico ad avere osato incontrare quella folla desiderosa di rivalsa, se non di vendetta.
L’eccidio della miniera era l’occasione che Malema aspettava. Il suo programma è pronto: «Il presidente Zuma ha deciso il massacro della nostra gente», ha detto alla folla, «adesso deve dimettersi
». «Io non ho un presidente », ha insistito, «Zuma non è un presidente». E ha chiesto anche le dimissioni di Nati Mthetwa, ministro della Polizia, «perché ha fallito, contravvenendo al suo dovere. La polizia avrebbe dovuto difendervi, non uccidervi». Poi ha incitato gli scioperanti a tenere duro e a non rinunciare alla loro richiesta che la paga venga portata a 12.500 rand mensili, contro gli attuali
5.000 (un aumento da 500 a circa 1.200 euro). Ha accusato il sindacato dominante, la National Union of Mineworkers, le cui storiche lotte precipitarono la fine dell’apartheid, di essere ormai diventato un’azienda «che possiede azioni delle società minerarie » e che dunque «è pronta a vendere i minatori appena c’è un problema».
Insieme a Zuma, il principale bersaglio dell’arringa di Malema è stato Cyril Ramaphosa, già carismatico leader del sindacato minatori ai tempi dell’apartheid, oggi straricco uomo d’affari e influente membro dell’esecutivo nazionale dell’African National Congress. «I minatori sono stati uccisi per proteggere le azioni di Ramaphosa», ha detto agli scioperanti, gettando ulteriore benzina sul fuoco. Da notare che la holding di cui Ramaphosa è a capo, lo Shanduka Group, ha offerto due milioni di rand per i funerali delle vittime della strage di Marikana: un dono che le parole incendiarie di Malema fanno apparire una mostruosa ipocrisia.
In poche ore, dall’eccidio di giovedì al discorso di Malema, si è così definita l’agenda della politica
sudafricana nel futuro immediato. In autunno Zuma dovrà affrontare la rielezione alla guida dell’African National Congress: Malema ne è stato espulso, ma ha molti amici e seguaci nella sinistra interna del partito, specie nella Lega giovanile, di cui era il capo. La frettolosa visita ad alcuni dei 78 feriti ricoverati nell’ospedale di Rustenburg non basta ad avvicinare il presidente al popolo. L’idolo delle folle è sempre più Julius Malema, poco più che trentenne, figlio di una donna delle pulizie, già ricchissimo. È questa la partita che gli spari di Wonderkop hanno aperto nel sangue.

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