Spara sui civili con bandiera bianca: «patteggia» 45 giorni

ISRAELE/PIOMBO FUSO. A distanza di oltre 3 anni, giustizia non è stata ancora fatta per la morte di Majeda e Raya Hajjaj, uno degli episodi più gravi dell’offensiva israeliana «Piombo fuso» contro la Striscia di Gaza (dicembre 2008-gennaio 2009). L’ennesimo colpo di spugna ha cancellato le responsabilità  dei militari israeliani.

ISRAELE/PIOMBO FUSO. A distanza di oltre 3 anni, giustizia non è stata ancora fatta per la morte di Majeda e Raya Hajjaj, uno degli episodi più gravi dell’offensiva israeliana «Piombo fuso» contro la Striscia di Gaza (dicembre 2008-gennaio 2009). L’ennesimo colpo di spugna ha cancellato le responsabilità  dei militari israeliani.
L’offensiva di terra dell’operazione «Piombo fuso» cominciò la notte del 3 gennaio 2009. I carri armati israeliani entrarono nella zona agricola di Johor Ad-Dik. La famiglia Hajjaj, 16 persone, si era rifugiata al primo piano della sua abitazione sperando di sfuggire alle bombe: alle 7 di mattina del giorno successivo però un carro armato israeliano colpì l’edificio, ferendo Manar Abu Hajjaj, 13 anni. Sotto il fuoco israeliano e con la casa ormai in fiamme, gli Hajjaj uscirono allo scoperto per trovare rifugio in casa della famiglia Assafadi, distante circa 300 metri.
Qualche ora dopo ventisette civili, membri delle due famiglie, sentirono un messaggio radio israeliano che ordinava ai residenti della zona di abbandonare le proprie case e dirigersi verso i centri abitati. Non rimaneva altra scelta che uscire di nuovo, tanto più che la piccola Manar necessitava cure urgenti. Così il gruppo, di cui metà bambini e diverse donne e anziani, si spostò in una zona aperta a ovest di Johor Ad-Dik: pensavano, agitando vistosamente stracci e lenzuoli bianchi alla luce del giorno, di essere ben distinguibili per i soldati israeliani. Nel cammino si imbatterono in alcuni carri armati israeliani, distanti circa 150 metri. Decisero di fermarsi per farsi riconoscere come civili. Ma, senza preavviso né ulteriori segnali, i carri armati israeliani aprirono fuoco contro il gruppo, che in preda al panico iniziò a correre verso l’edificio che si era lasciato alle spalle. Non tutti ce l’hanno fatta. Majeda Hajjaj, 37 anni, raggiunta dai colpi morì immediatamente. Raya Hajjaj, 64 anni, ferita al braccio e all’addome, si spense poco dopo.
La morte delle due donne è uno dei 36 incidenti documentati nel rapporto del giudice Goldstone, commissionato dalle Nazioni Unite dopo «Piombo fuso». Secondo la IV Convenzione di Ginevra del 1949, di cui Israele è parte, i civili sono protetti in tempo di guerra e come tali vanno riconosciuti e tutelati dalle forze combattenti, sulla base dei principi di distinzione tra civili e obiettivi militari, proporzionalità e precauzione nell’attacco. L’uccisione di Majeda e Raya è avvenuta in chiara violazione del principio di distinzione, senza dimenticare la reiterata violazione da parte delle forze armate israeliane dell’obbligo di prestare assistenza ai feriti e provvederne una celere evacuazione.
Il 12 agosto un soldato israeliano della brigata Givati, operante nella zona e al tempo dell’uccisione delle due donne, indagato per omicidio involontario, ha raggiunto un accordo con la procura militare per cui sconterà appena 45 giorni di prigione per «uso improprio di armi». La versione avallata dalle autorità inquirenti ha escluso una responsabilità penale, anche colposa, del soldato. Rimane quindi senza alcun colpevole un crimine di guerra perpetrato contro un gruppo di civili indifesi, l’ennesimo colpo di spugna dell’apparato investigativo e giudiziario israeliano verso le vittime civili palestinesi di «Piombo Fuso».
* dottorando in Diritti Umani, Giustizia Internazionale e Democrazia all’Università di Valencia (Spagna); collaboratore del Palestinian Centre for Human Rights di Gaza

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