INTERCETTAZIONI. Il governo del presidente, nato e vissuto sotto la tutela del capo dello stato, è pronto a pagare il suo debito di riconoscenza e ieri Mario Monti si è espresso in difesa di Giorgio Napolitano, definendo «grave» il caso delle telefonate del capo dello stato intercettate dalla procura di Palermo. Che però telefonate dirette del capo dello stato non erano, ma dell’ex ministro Mancino il cui telefono era legittimamente sotto controllo. Non solo: il presidente del Consiglio, fin qui così timido nell’uscire dal sentiero economico, ha annunciato un iniziativa del governo proprio sulle intercettazioni.
INTERCETTAZIONI. Il governo del presidente, nato e vissuto sotto la tutela del capo dello stato, è pronto a pagare il suo debito di riconoscenza e ieri Mario Monti si è espresso in difesa di Giorgio Napolitano, definendo «grave» il caso delle telefonate del capo dello stato intercettate dalla procura di Palermo. Che però telefonate dirette del capo dello stato non erano, ma dell’ex ministro Mancino il cui telefono era legittimamente sotto controllo. Non solo: il presidente del Consiglio, fin qui così timido nell’uscire dal sentiero economico, ha annunciato un iniziativa del governo proprio sulle intercettazioni. Intervistato dal settimanale Tempi – area Comunione e liberazione e Formigoni, per dire del pulpito in materia di giustizia – Mario Monti ha espresso una granitica certezza: «È evidente a tutti che nel fenomeno delle intercettazioni telefoniche si sono verificati e si verificano abusi». Un approccio degno del miglior Ghedini, a cui fa seguito un proposito che può fare felice l’avvocato di Berlusconi e il suo cliente: «È compito del governo prendere iniziative a riguardo».
A settembre si vedrà se il proposito del professore andrà ad allungare la lista delle buone (o cattive) intenzioni lasciate cadere per non devastare definitivamente quel che resta della sua maggioranza. Oppure no; oppure dopo aver messo in sonno il disegno di legge anticorruzione perché non piace al Pdl e non aver risolto la questione della responsabilità civile dei giudici, Monti si scoprirà risoluto proprio sulle intercettazioni. La notizia che il governo «prenderà iniziative», peraltro, non basta nemmeno a tranquillizzare le esigenti residue truppe berlusconiane, perché la pretesa del Pdl in materia di ascolti è piuttosto conservativa. Il segretario Alfano ha chiesto ai tecnici oggi al potere, senza falsa modestia, di riproporre puro e semplice il disegno di legge scritto da Alfano ex ministro della giustizia. Quella «legge bavaglio» che i giornalisti hanno fermato nelle piazze, manifestando assieme a magistrati e cittadini.
Certo, qualche mese ancora Monti deve pur durare. E dal suo punto di vista una mano al Pdl che si sta velocemente squagliando bisognava tenderla. Meglio farlo sulla giustizia, visto che il partito è arrivato a un passo dal presentare una mozione di sfiducia contro la guardasigilli Severino. Ma per il Pd è oggettivamente un po’ troppo. Per cui possiamo sbagliare ma è poco probabile che un esecutivo in via di uscita, magari anche anticipata, riesca a portare a casa una legge tanto problematica. E allora è persino più preoccupante la premessa delle dichiarazioni di Monti, quel suo essersi voluto schierare al fianco del presidente della Repubblica, definendo «grave» il lavoro dei magistrati di Palermo e parlando di «abusi» nelle intercettazioni come un dato di fatto.
Più cauta era stata proprio la ministra della giustizia solo pochi giorni fa, quando aveva evitato di schierare il governo nella disputa aperta dal Quirinale, decidendo di attendere la decisione della Corte Costituzionale. Mettendosi al fianco del Quirinale, invece, Monti annulla anche formalmente quella sana distanza tra il Colle e palazzo Chigi che non è un fatto formale ma di sostanziale garanzia. Il presidente della Repubblica, com’è noto, è irresponsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni: lo prevede la Costituzione per consolidarlo nella funzione di garanzia. Tant’è vero che gli atti del presidente per essere validi devono essere controfirmati dal governo, il che comporta che palazzo Chigi non sia una dependance del Quirinale ma debba mantenere la sua autonomia di giudizio e una certa distanza. Anche nel caso di questo governo «del presidente».
Particolarmente imprudente, poi, è la decisione di schierare l’esecutivo in pendenza del giudizio sul conflitto di attribuzione che Giorgio Napolitano ha proposto alla Consulta contro i magistrati di Palermo. Giudizio assai delicato, come ha spiegato ieri l’ex presidente della Corte Gustavo Zagrebelsky che ha invitato il capo dello stato a ritirare il suo ricorso. Zagrebelsky lo ha scritto su Repubblica con tutta la prudenza del caso, dicendosi certo che il «discredito, l’isolamento morale e l’intimidazione dei magistrati» che indagano sulla trattativa stato-mafia è una conseguenza lontana dalle intenzioni del capo dello stato. E tuttavia l’ha scritto, sul quotidiano che in questi mesi è stato il più vicino al presidente Napolitano, grazie soprattutto agli articoli del fondatore Eugenio Scalfari. Monti invece non ha avuto nessuna prudenza.
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