L’avventura di Vincenzo Rabito analfabeta e scrittore di successo

Alle “Giornate degli autori” la Mostra di Venezia presenterà  “Terramatta;” di Costanza Quatriglio

Alle “Giornate degli autori” la Mostra di Venezia presenterà  “Terramatta;” di Costanza Quatriglio

Mille pagine dattiloscritte di memorie che attraversano il Novecento: «la mia disonesta vita», le definisce l’autore, Vincenzo Rabito, cantoniere siciliano analfabeta. Milioni di parole inventate o “tuttattaccate”, scritte in quaderni legati con la corda, per una insolita autobiografia che nel 2000 ha vinto a Pieve Santo Stefano il concorso diaristico nazionale e poi, pubblicata da Einaudi, è diventata un caso editoriale. Ora quella “storia disonesta” con il titolo
Terramatta; (proprio con il punto e virgola) è diventato un film-documentario di Costanza Quatriglio (coprodotto da Cliomedia Officina e Cinecittà Luce) che verrà presentato alla Mostra di Venezia – Giornate degli Autori. Nato nel 1899 a Chiaramonte (dove è morto nel 1981), Rabito racconta nel suo diario la sua vita, la lotta per la sopravvivenza alla miseria, le due Guerre mondiali, il fascismo e il comunismo, il riscatto, il lavoro, la famiglia. Una geografia che si dipana tra Chiaramonte, Ragusa, Regalbuto, e poi la Slovenia, l’Etiopia, la Germania. «Mi sono innamorata subito di questo racconto del Novecento così diverso e lontano dalla storia ufficiale – spiega la 39enne regista -Sembrava però un film impossibile, a cominciare dalla comprensione del testo difficilissimo non solo per le sgrammaticature e i moduli narrativi propri della narrazione orale, ma anche per la storia che Rabito racconta».
Il film dà l’impressione di un incontro umano.
«Rabito narratore in prima persona è capace di regalarci un punto di vista inedito e sorprendente sulla grande Storia del Novecento. È il prototipo dell’italiano che si è costruito attraverso il fare, l’arte di arrangiarsi».
Rabito sembra avere una visione epica della sua vita.
«È come l’eroe di un’avventura, ma in realtà è l’antieroe per antonomasia. È consapevole di partecipare alla storia con la S maiuscola ma non si siede al tavolo».
C’è lo scioccante racconto di uno stupro a una donna slovena nella sua storia.
«Rabito non ha il filtro dell’autocensura interiorizzata. Nel mio film cerco di restituire la visione di ultimo. In quel racconto lui è testimone e carnefice dello strazio di una donna che non ha avuto giustizia come le migliaia di donne stuprate in guerra e nel dopoguerra. Vittime di una vendetta della quale non si parla».
Come ha trasformato in film le pagine del diario.
«Ho scelto di assumere il punto di vista dell’autore attraverso una doppia operazione: ho filmato i luoghi di Rabito, gli ambienti, le strade immaginando il modo in cui lui le percorreva in un continuo pellegrinaggio di ambienti, case cantoniere, vicoli, la Chiaromonte notturna.. Le immagini di archivio del Luce, immagini di regime, celebrative, sono invece spappolate, piegate alla soggettività di Rabito, perdendo la loro funzione originaria. La guerra mondiale ha un percorso cromatico dal blu, verde acido, al rosso fuoco perchè volevo raccontarle come proiezioni della sua memoria, una memoria pop. Ma le immagini del film sono fatte anche dalle parole scritte del diario, filmate con obiettivo potente e proiettate nei luoghi, sulle strade… E il ticchettio della macchina diventa guida musicale che si fonde con le melodie elettroniche e i rumori di guerra».
Il diario di Rabito ci racconta anche dell’oggi?
«Ci racconta l’Italia paternalista, che si confronta con il potere, cercandone la protezione. Un’Italia che c’è ancora e di cui ci dobbiamo liberare».

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