La storia dei femminismi letta nel suo divenire

Saggi e interventi di Paola Di Cori raccolti in un volume pubblicato da Ets 

L’anacronismo, visto tradizionalmente come concetto negativo, si rivela radar prezioso del «non ancora»

Saggi e interventi di Paola Di Cori raccolti in un volume pubblicato da Ets 

L’anacronismo, visto tradizionalmente come concetto negativo, si rivela radar prezioso del «non ancora»
La storiografia della seconda metà del Novecento si è dovuta confrontare con un problema che riguarda il rapporto tra sapere e potere: che cosa si può dire di ciò che si vede, si sente, o si legge sui documenti d’archivio, nei documentari d’epoca, attraverso le foto che testimoniano un determinato evento storico? Come ci ha insegnato Primo Levi, bisognava fare verità anche su ciò che, come i campi di concentramento nazisti, era apparso inizialmente allo storico come qualcosa di «impensabile». Il compito degli storici dovrebbe essere quello di determinare come mai, così a lungo, alcune storie sono rimaste impensabili. Ad esempio, che i neri fossero resi uguali ai bianchi è stato un fatto impensabile per secoli. Dicasi lo stesso per il suffragio universale o la legge sull’aborto. Oppure, per rimanere nell’attualità, è solo negli ultimi due anni che in Italia la parola omofobia, e i precetti legali che ne derivano, ha finalmente acquistato un senso civile.
È in questo senso che l’analisi del genere come categoria storica ha dimostrato che solo cambiando il modo in cui raccontiamo storie si può cambiare la Storia. Se oggi la storiografia può vantare un ruolo politico, o addirittura attivista, non è perché ha imparato a fare i conti con il passato, ma perché, forse anacronisticamente, ha imparato a leggere il futuro.
Nel suo bel libro Asincronie del femminismo. Scritti 1986-2011 (Edizioni Ets, pp. 296, euro 22), Paola Di Cori esplora ritardi, slittamenti e sovrapposizioni nella storia del femminismo ricordandoci che compito della storica è innanzitutto quello di «costruire e ricercare un rapporto con le generazioni più giovani». Ricchissimo di riferimenti bibliografici sul dibattito storiografico femminista, non solo italiano, degli ultimi quarant’anni, questo libro si legge più come un invito di lavoro e di ricerca, che come una storia conclusa. Asincronie del femminismo è una ricerca storica, ma anche una critica della storiografia moderna operata attraverso il posizionamento di un soggetto sessuato. Lo si può leggere come un’autobiografia e come una riflessione sulla storia del femminismo, dove il motto «il personale è politico» funziona anche come matrice del dibattito sulla storia delle donne.
Scritti tra il 1986 e il 2011, i dodici saggi e interventi qui raccolti (più la densa riflessione storiografica sulla discontinuità del femminismo presentata come introduzione) forniscono non solo una testimonianza autobiografica, ma abbracciano l’autobiografia così da rendere la testimonianza stessa un oggetto di studio ed analisi. Nei saggi che aprono la raccolta, Di Cori si interroga su come la scrittura dello storico possa funzionare come una registrazione della propria autobiografia, per dimostrare che gli storici spesso leggono la propria infanzia in maniera evangelica, come anticipazione dei temi e dei problemi che li avrebbero preoccupati poi in età adulta.
Le riflessioni autobiografiche delle storiche, invece, soprattutto di quelle che si interessano a questioni di genere, non ruotano attorno all’esaltazione dell’individualità, dell’autonomia e della singolarità del soggetto (tre concetti che sono infatti fondanti dell’ideologia modernista dell’autore), ma si svolgono in un tempo asincronico, dovuto non solo alla determinazione sociale del ruolo delle donne nelle carriere accademiche, ma anche alla frammentazione del soggetto narrante (e questa mi sembra la proposta più interessante che troviamo in questo libro), perché il loro oggetto di studio le ri-guarda.
Le storiche si ri-vedono nelle storie delle donne che raccontano, non per immedesimarcisi (esemplare, in questo senso, il capitolo sulle «donne di destra»), ma per riflettere sulla costruzione di immagini e miti attraverso i quali le voci delle donne sono diventate silenziose nel coro della storia. La re-visione di cui aveva parlato Monique Wittig diventa in questo libro di Paola Di Cori anche un invito a rileggere la storia in maniera anacronistica. Anziché rimanere vittime dell’oppressione, si ri-vede la storia attraverso il genere per ri-scriverla e ri-leggerla di nuovo attraverso una temporalità differente, la temporalità del non ancora che oggi rende il progetto politico femminista più attuale ed urgente che mai.
Paola Di Cori riesce a portare a termine quest’analisi attraverso un lavoro immaginoso e critico in cui scrittura, corpo e voce si intersecano per costruire una maglia in cui non si possono raccontare le storie senza riflettere su come poter scrivere storia.
Questi saggi, che trattano temi come la posizione dei Women’s Studies nelle università, il senso politico del separatismo, e analizzano il regime pornocratico attraverso la critica queer, rappresentano delle storie che ci propongono innanzitutto dei problemi in cui la «storiografia femminista» non è un metodo o una moda accademica, ma un posizionamento politico per rileggere il presente. Rivisitare il dibattito sulla storia delle donne e il femminismo potrebbe essere considerato un esercizio ridondante in un’epoca in cui i libri scritti da donne attraversano più generi e si fanno largo sia tra i premi letterari sia ai primi posti nelle classifiche delle vendite.
La «scrittura femminile» sembra essere diventata un anacronismo storico, proprio nel momento in cui il femminismo è stato trasformato in un’immagine del passato, o in uno stile letterario. Allora, ripensare l’anacronismo diventa ancora più urgente oggi, proprio per contrastare la fossilizzazione del soggetto femminista in un oggetto da teca di museo. Immaginoso, e strenuamente critico, Asincronie del femminismo è un libro indisciplinato in cui la storia dei femminismi non è consegnata al passato, ma viene rappresentata nel suo divenire.
Privilegiando le problematiche della storia orale, su cui Di Cori riflette sin dagli anni ’80, la storia del femminismo italiano qui non è raccontata attraverso le categorie della filiazione tra nonne, madri e figlie: questo modello verticale, fondato sulla fantasia biologica freudiana, troppo spesso rimane intrappolato nella struttura edipica che qui sembra essere messa da parte per sperimentare i rapporti laterali tra fratelli e sorelle, tra cugini e cugine, tra zie e nipoti. «Tra i principali risultati di questo spostamento – scrive Di Cori ispirandosi alle le riflessioni della psicoanalista femminista Juliet Mitchell – si profila un inesorabile declino della questione della discendenza e il crescente rilievo delle alleanze nella società contemporanea».
È in questa dimensione orizzontale (o corale, per dirla con il vecchio Bakhtin) che anche i nipoti si possono scegliere le proprie zie preferite per farsi raccontare una storia del femminismo che non si legga in bianco e nero, come nelle foto degli anni settanta. Definire il femminismo come un anacronismo significa innanzitutto non considerare la questione della differenza sessuale come un evento del passato, ma neanche come un progetto futuro che deve essere ancora iniziato. Non una celebrazione dell’emancipazione ottenuta dalle donne quarant’anni fa, ma neanche un elogio cieco della parità tra i sessi. Il femminismo è un anacronismo perché, come l’Orlando di Virginia Woolf, fa esperienza di una soggettività trans-storica – e, aggiungerei, transnazionale – in cui la Storia degli uomini e delle donne può, e deve, essere continuamente riscritta con occhi strabici, leggendo al passato per prevedere il futuro.
Dichiarare che il femminismo sia un anacronismo è la maniera per renderlo tempestivo adesso, così che non sia démodé domani. Se l’anacronismo ha tradizionalmente rappresentato per lo storico un concetto negativo, proprio perché mina alla solidità del suo impianto cronologico, nella prospettiva femminista asincronie e anacronismi diventano invece concetti virtuali per sviluppare il non ancora. Appropriarsene è l’invito che ci viene proposto in questo libro di Paola di Cori, come strategia politica e di lavoro: «Appropriarsi delle parole vuol dire infatti per le donne riattraversare l’esperienza passata per proiettarsi in avanti da una posizione più forte: riscrivere i dizionari, ma anche rovesciare dalle fondamenta il modo in cui si lavora».

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