RESISTENZE noir La guerra di Alice L’unica consolazione sono i libri rubati in una cartoleria, ma letti alla ricerca di spiegazioni che una vita in discarica non riesce a trovare. Un’esistenza clandestina in fuga dagli uomini in divisa.
RESISTENZE noir La guerra di Alice L’unica consolazione sono i libri rubati in una cartoleria, ma letti alla ricerca di spiegazioni che una vita in discarica non riesce a trovare. Un’esistenza clandestina in fuga dagli uomini in divisa.
Mi sveglio sempre alle sette. Lo so perché ho un orologio sul comodino, si chiama sveglia. Mi lavo con l’acqua fredda perché la calda è finita. Come tanta roba da quando è iniziata la guerra.
L’unica cosa che non finisce sono i libri, perché è vietato comprarli. Sono nella libreria del paese, in fila come soldati. Nessuno li prende in mano, nessuno li sfoglia. Ornamenti (ciò che, non richiesto da fini pratici, si aggiunge per conferire bellezza).
Li rubo, mentre la gente compra quaderni e penne. Dev’essere così che guadagna la libreria, vendendo roba per la scuola.
Sento la Vecchia che prende a calci le galline e rido. Forse non hanno fatto abbastanza uova. C’è sempre fila, fuori casa sua, per comprarle.
Esco mezza nuda e metto le mani attorno alla bocca.
– Vecchia, me lo dai un uovo?
Lei si gira di scatto, prende nei pugni la veste bianca. Si chiama grembiule.
– Zitta, puttana!- urla.
E se ne va. Ma tanto lo so che dopo torna e mi porta le uova. A volte lascia pure i resti della gallina nell’erba, e io devo fare a gara con i cani.
Vinco io.
L’aspetto in casa. Non posso farmi vedere, altrimenti per dispetto non viene. Le sette sono diventate le otto, finalmente posso fare colazione. Ora mi sento piena di energie, perché mangiando ingeriamo sostanze che ci danno forza. Si chiamano calorie.
La libreria è vuota, a parte una signora che compra i quaderni. C’è un capannone, dall’altra parte del paese, dove i bambini vanno a scuola tutti assieme. In tempo di guerra è così.
Io non ci sono andata, a scuola. Mia madre mi teneva sempre nella baracca. Quando arrivavano i soldati vestiti di blu diceva di alzare la botola e scendere sotto, perché se si accorgevano che non andavo a scuola mi fucilavano.
Devo rubare un libro che si chiama La Metamorfosi. Io so cos’è la metamorfosi, l’anno scorso ho rubato un dizionario.
Trasformazione di un essere in un altro di natura diversa.
Vorrei trasformarmi in un uccello. Visto che non posso cambiare il corpo, trasformo la mente, e per farlo mi servono le parole.
È da un po’ che comincio a capire perché i libri sono vietati, durante la guerra. Mamma diceva che non mi faceva studiare per farmi diventare una donna felice.
Però io adesso non sono felice. Non so se è perché non sono andata a scuola, o perché ho iniziato a leggere di nascosto. Leggere è un po’ come studiare, solo più divertente.
Mentre il libraio scrive qualcosa, infilo La Metamorfosi nell’elastico delle mutande. È un libro sottile, ma non vuol dire che non lasci il segno. Anzi, già lo sento pesare, proprio sulla parte bassa della schiena, e sembra che bruci un po’.
Sorrido, poi esco.
* * *
Niente gallina, mangio frutta. Vado dietro alla baracca di Olimpia, dove c’è un albero di arance e un quadrato di terra dove coltiva verdure. Si chiama orto.
Non mi piace andarci perché si trova vicino alla discarica, dove ci sono quintali di monnezza. Il vero nome della monnezza è spazzatura. In paese ne arrivano ogni settimana camion pieni, buttano tutto lungo lo stradone vicino alla baracca di Olimpia: televisori, merda, cibo marcio, assorbenti, pile, materassi. Mi chiedo se tutti quei rifiuti provengano da città dove non c’è la guerra, perché scaricano un sacco di roba elettronica. In paese neanche la televisione, abbiamo; non sta bene, nelle baracche, si dice che stona.
I camion devono venire da lontano, perché mamma diceva che Tutta la Nazione è in Guerra, e lei mi deve proteggere. E poi: Oggi come Oggi la Guerra la fanno gli Innocenti. Mamma mi ha protetta ma non si è salvata, infatti è morta dopo essersi fatta la siringa.
Da allora continuo a nascondermi quando arrivano i soldati, e meno male che la vecchia dice: Se cercate la puttana, è morta.
Puttana significa: Prostituta. Con uso fig., in espressioni ingiuriose: figlio di puttana, persona disonesta, capace di qualsiasi azione.
In effetti io sono capace di tutto.
Qualche mese fa un bambino è venuto a bussare alla baracca. Piangeva e gli colava il muco sulla bocca.
– Mamma- diceva.
– Non sono tua mamma.
– Mamma, non la trovo.
– Neanche io trovo la mia.
– Non trovo la mia mamma.
Inutile parlargli. Aveva in tasca degli spiccioli; me li sono presi per comprare la cioccolata. Non la mangio mai, perché non ho soldi e nessuno me la dà. Nemmeno i soldati che vengono a fare il Sesso (I fatti e i fenomeni legati agli organi della riproduzione) ce l’hanno mai. Mi danno: frutta, verdura, pane. Il prete mi dà invece: calze e santini.
Il bambino si è messo a strillare, così gli ho detto che sua mamma era morta per le bombe.
L’ho guardato andare via, scuoteva le spalle e dondolava la testa, un po’ mi ha fatto pena. Ma la pena non cancella il peccato, mai, diceva mamma.
La Metamorfosi è finito subito.
Gregor si è trasformato in un insetto e deve stare segregato. Segregare significa: Isolare un individuo dalla comunità di cui fa parte.
Come faceva mamma con me. Anche se l’ha fatto per difendermi dalla guerra, non è stata una cosa buona. Se devo nascondermi, vuol dire che per chi fa la guerra sono un essere mostruoso. Se devo nascondermi quando leggo, vuol dire che leggere è mostruoso. Anche la mia anima, come quella di Gregor, si deteriorerà.
Quando salgo su è notte, e in cielo ci sono tante luci colorate. Le bombe. Dovrei tornare nel rifugio, ma la paura e lo stupore mi ipnotizzano, così resto alla finestra e sfido la morte.
Quando mi sveglio fuori ci sono i Generali. Mamma diceva sempre che sono i peggiori, perché hanno il permesso di entrare in casa.
Se mi prendono mi fucilano, ma prima mi torturano. Bruceranno i miei libri, e io non riuscirò più a pensare. Senza libri non saprei abbinare le parole agli oggetti, dovrei passare le mie giornate a far cacare uova alle galline, come la Vecchia.
– La puttana non c’è!- grida.
Mi avvicino alle persiane e guardo fuori. Il Generale fa una piroetta (Figura di danza nella quale il ballerino compie un giro su sé stesso) per guardarla, ha una coda di cavallo, biondo scuro, che volteggia mentre cammina.
– Cerchiamo Alice Sommella.
– La puttana è morta.
– La mamma? Sì, è morta. Cerchiamo la figlia.
– No, la figlia è morta. Lasciate in pace i morti.
– Quando? Non c’è nel registro. Nessun decesso.
– E invece sì. Jatevenne!
Lo so perché la Vecchia fa così. Le lavo la casa, e una volta al mese i capelli e la schiena. Se i soldati mi portano via, chi lo farà?
Il Generale viene verso la mia baracca. Non ha la divisa. Ho ancora più paura, forse perché la divisa significa che hai delle regole da rispettare, e quando la togli puoi fare quello che ti pare.
Divisa: Abito che viene indossato dagli appartenenti a una categoria, perché siano facilmente distinguibili e riconoscibili.
Quando appartieni a una categoria devi avere delle regole, altrimenti nessuno può dire se sei questa cosa o un’altra. Io penso di appartenere alla categoria degli zingari (gruppo etnico che si diffuse tra il X e il XVI sec. in Europa e nell’Africa settentr., conservando le tradizioni di vita nomade e di attività come la musica ambulante e l’accattonaggio), però non ne sono sicura, perché io e mamma siamo sempre vissute qui, e poi anche perché c’è quella cosa che riguarda le puttane, che sono capaci di qualsiasi azione. Il fatto è che mi ritrovo in un sacco di categorie, forse è per questo che ancora non ho capito quali sono le mie regole.
Comunque, scendo nel rifugio e chiudo la botola. Sento i passi sulla testa, un soldato dice: – Che puzza di merda.
Il Generale, invece, parla come i libri: – Non c’è cibo, non c’è nulla, solo sporco. Dobbiamo cercarla altrove.
– Forse vive nei boschi.- dice un altro soldato. -La sapete quella storia? Dicono che c’è una Lupa Mannara.
– Ma che stronzate.- Il Generale, che non parla più come i libri. – Questo posto è una latrina, tutto il paese lo è. Il cesso del mondo. Non c’è niente qui, manco i lupi mannari.
E se ne vanno.
* * *
Non lo so come conoscono il mio nome. Ho letto in un libro che un tizio fermato dalla polizia, per dimostrare chi è, mostra un documento (attestato, rilasciato da una pubblica autorità, contenente elementi atti a identificare una persona). Io non ce l’ho. So che mi chiamo Alice Sommella perché me l’ha detto mia madre. Pensavo che nessuno sapesse che esisto.
Una volta venne una donna a casa di mamma. Pure lei si faceva le siringhe, infatti è morta.
Disse: – Teresa, tu hai una figlia.
– Eh.- rispose mamma.
– Nessuno lo sa.
– Non si deve sapere. La voglio salvare.
– Nessuno si salva, Tere’.
– Non dire che l’hai vista, altrimenti se la prendono.
Secondo me l’amica di mamma a qualcuno l’ha detto, perché da quel giorno sono venuti spesso i soldati.
Esco solo quando si fa sera, perché ho paura che siano appostati da qualche parte. Ho fame, ma non è solo per questo che busso alla porta della Vecchia.
-Che vuoi?- strilla da dentro.
Vorrei abbracciarla.
– Ho fame!
– Vattene, sto dormendo!
– Ti faccio i capelli.
– È tardi.
Resto lì fuori un sacco di tempo, perché a volte la Vecchia cambia idea e mi dà della di minestra. Me la mette sugli scalini e se ne torna dentro, stringendo il grembiule tra i pugni, come se volesse strozzarmi ma non ce la fa.
Devo rubare un altro libro, si chiama Guerra e Pace. Forse, leggendolo, capisco qualche regola.
Il libraio tiene gli occhi a terra e non mi vede. Però fuori ci sono due soldati e un Generale, stavolta con la coda nera.
Deglutisco due volte, prima di riuscire a muovere le gambe. Corro solo dopo trenta secondi.
Passo avanti alla salumeria, alla chiesa, al negozio di vestiti. Finito, tutto qui il paese. Entro nell’erba alta per raggiungere le baracche, lo sento che mi stanno inseguendo perché non ci sono solo io a fare quel rumore bellissimo di piedi ed erba bagnata. Corro e prego che non mi cada il libro. Se cade mi fucilano, se cado io e lo nascondo nell’erba forse mi torturano e basta.
Cadiamo, io avanti e il libro dietro. Mi fermo, mi giro, e qualcuno mi tira per il collo.
Avrei dovuto rubarlo prima, così forse non mi avrebbero neanche cercato, perché sapevo come vivere.
C’è metallo da tutte le parti, e mobili bianchi. Il letto è la macchina del tempo e io sono nel futuro.
Questa stanza è l’Apocalisse.
Apocalisse: catastrofe, fine del mondo.
Bruceranno i miei libri, lo so. Smetterò di imparare parole, di avere pensieri. Che farò, se non mi uccideranno? Non potrò ricordare per sempre quello che ho letto. Le emozioni quanto a lungo sopravvivono senza le parole a spiegarle?
Il Generale entra e si siede.
-Come ti senti, Alice?
Trovo la voce, in fondo allo stomaco: -Che mi farete?
Sorride.
– Ci prendiamo cura di te.
Cura: interessamento premuroso per un oggetto, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività.
-Ci hai fatto penare, per trovarti. Tua madre ti teneva rinchiusa, ma è arrivata una voce all’assistenza sociale.
Altro sorriso.
– Mamma voleva proteggermi.
– Da cosa?
– Dalla guerra. L’Apocalisse.
– Non c’è nessuna guerra.- lei, come se stesse dicendo che il cielo è azzurro.
– Sì che c’è. Ci sono i soldati, la fame, i bombardamenti.
Il sopracciglio vola sulla fronte.
– Riposa un altro po’.
Mi prende il panico e cerco di alzarmi, ma mi gira la testa.
– Dove sono?
Non la riconosco, la mia voce. E’ uguale a quella che avevo da bambina.
– In ospedale. Hai bisogno di medicine, sei sotto shock.
Shock. Niente, non lo so cos’è shock. Quando non conosco una parola mi assale l’angoscia.
– Non potete obbligarmi a stare qui.
Una volta, una Cittadina Americana in un libro ha detto questa cosa, e la polizia l’ha lasciata andare.
– Stai tranquilla. Sono una psicologa, ti aiuterò.
Psicologa: chi conosce l’animo umano ed è in grado di valutare il carattere di una persona, comprenderne le emozioni e prevederne i comportamenti.
– Se il giudice fosse giusto, forse il criminale non sarebbe colpevole.
– Dostoevskij. Non male, per una bimba di nove anni che non è mai andata a scuola. Quanti libri hai rubato?
Oddio. – No, non ho letto niente, io.
– Non vergognarti di una cosa bella.- mormora, carezzandomi.
Carezza: Dimostrazione di affetto o di benevolenza fatta ad altri con atti o con parole; più concretamente, l’atto di passare leggermente la mano sul volto o su altra parte del corpo di una persona come gesto di tenerezza.
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