Perché l’Italia dimentica i suoi eroi? Questa domanda spicca sulla copertina del libro Giorgio Perlasca. Un italiano scomodo, di Dalbert Hallenstein e Carlotta Zavattiero, edito da Chiarelettere nel 2010. In quell’anno ricorreva il centenario della nascita di Perlasca, il cui ruolo nel salvataggio degli ebrei di Budapest è stato ricordato ieri sul «Corriere» da Sergio Romano, mentre è appena caduto il ventennale della sua morte, avvenuta a Padova il 15 agosto 1992.
Perché l’Italia dimentica i suoi eroi? Questa domanda spicca sulla copertina del libro Giorgio Perlasca. Un italiano scomodo, di Dalbert Hallenstein e Carlotta Zavattiero, edito da Chiarelettere nel 2010. In quell’anno ricorreva il centenario della nascita di Perlasca, il cui ruolo nel salvataggio degli ebrei di Budapest è stato ricordato ieri sul «Corriere» da Sergio Romano, mentre è appena caduto il ventennale della sua morte, avvenuta a Padova il 15 agosto 1992.
Il nome di Perlasca si è ormai fortunatamente diffuso in tutto il Paese: vi sono numerose scuole e toponimi a lui intestati e la fondazione che porta il suo nome riceve continue richieste. Il libro si pone però un obiettivo più avanzato, di duplice natura: primo, capire la portata di quanto fu compiuto da Perlasca a Budapest in quei terribili tre mesi, da metà ottobre 1944 a metà gennaio 1945; secondo, analizzare le ragioni del silenzio sepolcrale che coprì quella sua attività per i 43 anni successivi.
Gli autori hanno avuto il merito enorme di intervistare a lungo Perlasca poco prima della sua improvvisa scomparsa, quando non era più uno sconosciuto ed era già stato insignito di onorificenze e riconoscimenti. In tal modo hanno raccolto informazioni molto interessanti, che hanno poi trovato riscontro nel loro lavoro di ricerca. Le conclusioni che si possono trarre sono importanti e incoraggiano ulteriori ricerche.
Quella di maggior rilievo è che, se lo svedese Raul Wallenberg (il cui centenario viene festeggiato quest’anno in tutto il mondo) ebbe un ruolo fondamentale nel salvataggio degli ebrei ungheresi tra il luglio e l’ottobre 1944, tale ruolo svanì dopo il colpo di Stato delle «croci frecciate» (il partito ungherese antisemita e filonazista), avvenuto il 15 ottobre, a causa della perdita d’importanza diplomatica della Svezia, ma soprattutto di un indegno commercio di salvacondotti che né l’ambasciata né Wallenberg stesso seppero impedire, e che condannò a morte centinaia di ebrei, non più protetti da documenti chiaramente fasulli.
Nei successivi tre mesi, dunque, la testa pensante delle operazioni di salvataggio fu Perlasca, rappresentante semi-legittimo di un Paese, la Spagna franchista, divenuto assai più rilevante della Svezia per i nazisti ormai sconfitti, dato che poteva concedere asilo o instradare per l’America Latina. Perlasca potrebbe anche aver sventato quasi da solo il piano crocefrecciato di incendiare il ghetto di Budapest stipato di oltre 70 mila disgraziati. Se quest’ultima ipotesi necessita di ulteriori ricerche e riscontri, resta il fatto che l’opera di Perlasca non fu certo secondaria rispetto a quella del più celebrato Wallenberg.
Resta dunque la domanda: come mai lo svedese viene ricordato, giustamente, come un eroe nazionale e internazionale, e l’italiano molto meno? Forse perché Wallenberg aveva dietro di lui un «sistema-paese», o forse perché morì poco dopo, nel 1947, incarcerato dai sovietici. Ma il motivo più profondo, indicato nel libro, è che Perlasca non si riconobbe in nessuna delle caste politiche del dopoguerra e mantenne una coerenza di fondo e un’indipendenza di pensiero che lo condannarono all’anonimato in vita, e in questi venti anni ad una scoperta ancora troppo lenta. Un fascista ma antinazista, cattolico ma non clericale, anticomunista ma tollerante verso le idee diverse? Non scherziamo, in Italia non c’era posto per lui.
A vent’anni dalla morte di Perlasca, in compenso, si assiste al completamento con denaro pubblico di un monumento al maresciallo Graziani (chissà se i rappresentanti libici ed etiopici saranno invitati a visitarlo) e a un aumento delle «ore d’aria» di Erich Priebke, da 16 anni agli arresti domiciliari, il che fa sospettare un possibile tentativo di fargli finire i suoi giorni in patria. L’amara conclusione è che la lobby nostalgica del nazifascismo sembra ottenere assai di più e più rapidamente per i suoi beniamini, di quanto un movimento di opinione pubblica abbia ottenuto per l’eroe Perlasca, che di lobbies fu ed è orfano.
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