Il maggior rischio per Julian Assange non è la sua cattura da parte di Scotland Yard, ma che leghi Wikileaks al suo destino. Possibilità che avrebbe molte spiegazioni. In fondo è stato l’hacker australiano a mettere in piedi il gruppo di informatici e mediattivisti che ha preso il nome Wikileaks; è stato inoltre Assange a studiare le forme di finanziamento all’organizzazione.
Il maggior rischio per Julian Assange non è la sua cattura da parte di Scotland Yard, ma che leghi Wikileaks al suo destino. Possibilità che avrebbe molte spiegazioni. In fondo è stato l’hacker australiano a mettere in piedi il gruppo di informatici e mediattivisti che ha preso il nome Wikileaks; è stato inoltre Assange a studiare le forme di finanziamento all’organizzazione. E si deve sempre a lui la rete di relazioni che ha reso Wikileaks un potente strumento informativo contro il segreto di stato. Ma vincolare la sorte di Wikileaks a quella di Assange sarebbe uno degli errori più grandi che l’accerchiato nella sede diplomatica ecuadoriana potrebbe fare.
La crisi iniziata con la richiesta di asilo politico ha messo in evidenza una personalizzazione di un conflitto squisitamente politico tra Wikileaks, i governi di sua Maestà, svedese e statunitense che la rende estremamente vulnerabile. Non solo se Assange finirà dietro le sbarre, come testardamente vuole l’establishment britannico, ma perché diminuisce la sua capacità di continuare a pubblicare le informazioni in suo possesso. Già nei mesi scorsi, il sismografo ha fatto registrare «calma piatta» nella sua attività, oramai limitata a scarni comunicati in cui sollecitava manifestazioni di solidarietà ad Assange. Il blocco dei fondi chiesto e ottenuto dal governo statunitense ha fatto il resto.
L’uscita da questo «doppio legame» è l’unica soluzione che Wikileaks ha per continuare la sua attività informativa. In questo modo aiuterebbe non poco Assange nella sua personale e condivisibile battaglia per rimanere un uomo libero, visto anche l’inspiegabile silenzio di molte organizzazioni dei diritti civili sul suo caso, che hanno invece preferito alzare la voce per un caso molto più glamour, quello della Pussy Riot. E aiuterebbe così un’altra battaglia, quella relativa alla libertà di espressione e di stampa.
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