Da Pinochet al re degli hacker, il ritorno di Garzà³n

Sospeso dalla magistratura per 11 anni, questa è la sua prima causa da avvocato

Sospeso dalla magistratura per 11 anni, questa è la sua prima causa da avvocato

PARIGI — L’ex giudice e l’ex hacker si sono intesi subito. Meno di un mese dopo essersi assunto l’incarico di difensore di Julian Assange, il più famoso (ex) magistrato spagnolo ha pianificato con il fondatore di WikiLeaks le prossime mosse della lunga partita che li oppone al resto del mondo (o quasi): «Assange risponderà alla giustizia svedese quando avrà garanzie che ancora non ha ricevuto». E, per cominciare, un salvacondotto per lasciare l’Inghilterra.
Baltasar Garzón, 56 anni, ha tempo a disposizione. Almeno tutti gli undici anni di sospensione dalla magistratura che gli sono stati inflitti nello scorso mese di febbraio dal Tribunale supremo di Madrid. I suoi colleghi lo hanno condannato per aver intercettato le conversazioni, protette dal segreto, fra i legali e gli imputati del caso «Gürtel», l’inchiesta per corruzione che aveva aperto tre anni prima a carico di alti esponenti del Partito Popolare nel governo delle comunità di Valencia e di Madrid.
Julian Assange, a sua volta intercettatore non autorizzato di 250 mila file e documenti diplomatici statunitensi, in buona parte confidenziali, è il primo cliente del neo avvocato Garzón che, negli ultimi anni, era stato impegnato soprattutto ad assistere se stesso nei vari conflitti scatenati all’interno del sistema giudiziario dalle sue iniziative professionali e sfociati in altrettanti procedimenti nei suoi confronti.
Una denuncia per abuso d’ufficio era stata presentata contro di lui dagli epigoni della Falange (estromessa poi come parte civile dal processo) e da altre organizzazioni di estrema destra, come Manos Limpias, quando iniziò nel 2008 a tracciare la mappa delle fosse comuni ancora intatte in Spagna, dai tempi della guerra civile e della lunga dittatura di Francisco Franco: a impedirgli di cercare i responsabili di quei crimini c’era la legge sull’amnistia promulgata dal parlamento spagnolo nel 1977, per chiudere i conti fratricidi del passato e avviare la Transizione, la più pacifica possibile, verso la democrazia.
A lasciargli via libera non sarebbe bastata neppure la legge sulla Memoria storica, approvata 30 anni dopo dal governo presieduto da José Luis Rodriguez Zapatero. E a preservarlo dal duro provvedimento disciplinare non bastarono le manifestazioni di piazza, rese mediatiche dalla presenza a Madrid di star come il regista Pedro Almodovar o la scrittrice Almudena Grandes; o dalle nonne di plaza de Mayo, a Buenos Aires.
Come Assange, Garzón adora la ribalta. E non lo nasconde. Una nota caratteriale che gli ha garantito critiche e nemici nei suoi 22 anni di movimentata carriera alla corte d’istruzione numero 5 dell’Audiencia Nacional. La sua fama è diventata internazionale dal 1998, quando il giudice spiccò un mandato di cattura contro l’ex dittatore cileno Augusto Pinochet: gli contestava 94 casi di tortura e l’eliminazione di cittadini spagnoli, oltre a una lunga lista di crimini contro l’umanità. L’ordine di arresto fu eseguito proprio a Londra, nella clinica in cui il vecchio generale golpista era ricoverato, e diede origine a un braccio di ferro tra la giustizia spagnola, il governo inglese e quello cileno, per l’estradizione. Che Garzón, alla fine, non ottenne.
La sconfitta non lo scoraggiò. Sognava di catturare Osama bin Laden, vagheggiava di inquisire Henry Kissinger. Riuscì invece a portare alla sbarra un paio di militari argentini, facendo luce sul caso di desaparecidos spagnoli ai tempi della repressione, gli fu fatale la decisione di tentare la stessa indagine in patria.
Ha cambiato — giocoforza — toga, ma non obiettivi: «Assange difende la libertà e i diritti umani», è convinto Garzón.

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