CACCIA AL LADRO SUL FIUME

Alla scoperta del Po/16 L’uccello cova le sue uova e i rumeni pescano tranquilli. Ma la zona è popolata di ombre e di sospetti. E ora vogliamo vederli anche noi i briganti. “Qui ci sarebbe un magnifico turismo, ma la gente ha paura. Fanno un reato su una riva e poi corrono sull’altra. Adesso hanno preso un cigno, è un simbolo per noi”

Alla scoperta del Po/16 L’uccello cova le sue uova e i rumeni pescano tranquilli. Ma la zona è popolata di ombre e di sospetti. E ora vogliamo vederli anche noi i briganti. “Qui ci sarebbe un magnifico turismo, ma la gente ha paura. Fanno un reato su una riva e poi corrono sull’altra. Adesso hanno preso un cigno, è un simbolo per noi”

Nella notte nera e senza vento, l’ultima diga, l’ultimo e più formidabile ostacolo tra noi e il mare, aspetta come un ramarro, ferma nell’acqua immobile poco dopo di San Nazzaro, oltre un arcipelago di ombre, una flotta rugginosa di chiatte e pontoni addormentati. Non sappiamo ancora come andrà quel maledetto trasbordo. La chiusa (qui la chiamano “conca”) è inagibile, ci hanno detto. L’acqua a valle è troppo bassa, nettamente più bassa del fondo della camera stagna dove dovremmo entrare per superare il salto.
Non è solo una magra. È che a valle il letto si è abbassato di cinque metri in vent’anni per le manomissioni dell’uomo, e le barche ce la fanno a entrare o uscire solo in caso di piena. E poiché non ci sono piene da un anno, è da un anno che lo sbarramento di Isola Serafini non lo passa più nessuno. Ed è da un anno che le chiatte mandate da Boretto per ricostruire il ponte di Piacenza, sfondato da un’alluvione nel 2009, sono bloccate a monte. Non potrebbero rientrare alla base neanche se volessero. Il fiume più grande d’Italia è spaccato in due.
Anche i pesci non passano, li vedi a valle e a monte che girano in tondo come pazzi sorvolati da aironi assassini. Molte specie si sono estinte, gli storioni soprattutto. Ma il peggio è che mezzo milione di metri cubi all’anno di sedimenti restano a monte a intasare un lago morto, impoverendo a valle il letto di un fiume che già sprofonda di suo, mangiato dalle escavazioni di ghiaia e dagli argini che hanno ristretto l’alveo e velocizzato la corrente. La quale scava furiosamente, invece di dilagare in libertà. Solo l’Adda porta un po’ di ghiaie, ma subito le draghe gliele tolgono, per garantire il dislivello alle turbine dell’azienda elettrica. Un disastro.
Alla fine, ci dicono al mattino, non resta che la gru. Un pontone che sollevi il “Gatto” e lo deponga a valle, calandolo nel vuoto. E così assistiamo al più inverosimile dei trasbordi, sdraiati su un terrapieno coperto di rucola profumata, sotto un sole sfolgorante. La barca oscilla sull’orlo del burrone, fasciata da tiranti sotto la chiglia, bascula sopra una cascata di schiuma giallina e un turbinare di gabbiani. Dieci metri più sotto, con una corda tirata diagonalmente dall’argine, Valentina cerca di tenerla ferma perché non gratti il muraglione di cemento durante l’alaggio.
“Più a destraaa!”. “Molla, mollaaaa”.
Per capirsi bisogna urlare, tanto forte è il tuono dell’acqua che esce dalla fessura della paratia stagna. «Tutti i concaroli avevano una voce stentorea per farsi sentire in questo casino», ride Annibale Volpi, 72 anni, che ha fatto quel mestiere per una vita. Bisognava gridare domande secche e inequivocabili, come “In che vet?”, dove vai? Oppure comandi brevi, tipo “Allenta!” o “Tira!”. E racconta, l’Annibale, la storia di un fiume sempre più imbrigliato e pericoloso. «Nel ‘51 ci vollero 15 mila metri cubi d’acqua al secondo per fare un’alluvione. Nel 2000 ne son bastati 12.800. Cosa vuol dire? Il fiume ha meno spazio in larghezza. E allora che fa? Scava, e corre più svelto. Una volta bastavano motori minimi per risalirlo. Oggi ti servono i fuoribordo».
Nel fondo del burrone tuonante, capitan Lodigiani e Valentina ci fanno segni che è tempo di partire; non stanno nelle braghe dalla voglia di andare ora che non ci sono più ostacoli. Ma le storie di Annibale sono troppo belle: la pesca con la sanguisuga, le mirabolanti fritture di fiume, la nuova conchiglia-gigante di nome Anodonta che ha invaso il Po. E poi c’è da salutare Alberto, il nuovo concaro che ci ha dato una mano e che, dopo il Volpi, ha per cognome giu-
stamente Gallina. Infine, dimenticavo, c’è da saldare il conto col gruista nel suo ufficio a San Nazzaro. Il fiume chiede tempi lunghi, magari conditi con tortelli e gutturnio. Dobbiamo spiegarlo a gesti ai due impazienti sulla barca.
Perché sul fiume succede sempre qualcosa. E difatti nell’officina del gruista Fabio Brusamonti, un prefabbricato in mezzo a grandi motoscafi in secca, è scattato l’allarme-pirati e mi capita di assistere in viva voce a uno scambio di telefonate roventi tra pescatori, vigilanti e il gruista con sua moglie Cristina.
«I soliti rumeni hanno preso un cigno col cappio, nell’oasi del Pinedo», sta gridando qualcuno oltre il filo, «l’hanno accoppato e ora di sicuro se lo mangiano».
«Distruggono la riviera ‘sti maledetti. Ma stavolta non devono passarla liscia. Quel cigno era un simbolo».
«Non c’è pace, capisce? È ogni giorno così. A me tocca dormire in officina per sorvegliare i motori. In due anni me ne hanno fregati ventiquattro» .
«Hanno l’accampamento al Mezzanone, sono in dieci, li ho visti. Spadroneggiano. E se poi li denunci ti fanno i dispetti».
«I politici guardano allo spread… ma va in c…. lo spread, a noi serve ordine, se no non c’è sviluppo. Qui ci sarebbe un magnifico turismo, ma la gente ha paura… Un fiume intero è ostaggio dei pirati».
«Se questi fanno un reato su una riva, poi corrono sull’altra e la polizia ti dice che non è sua competenza».
Assisto, non senza godimento, al crollo del federalismo applicato al fiume, e oso intervenire: «Serve un’autorità unica. E a proposito, dov’è finito il magistrato del Po?».
Capisco dalle telefonate che la polizia provinciale di Piacenza ha altre gatte da pelare. Si muove, forse, quella di Lodi. In motoscafo.
Pago il trasbordo del “Gatto” e quando sto per andarmene, sento i vigili lodigiani che chiamano, imbestialiti. «Il cigno è lì tranquillo che cova le sue uova. E anche i rumeni pescano tranquilli».
Siamo in un fiume dai nervi scoperti, popolato di ombre e sospetti. Ora vogliamo vederli anche noi i briganti, e il viaggio diventa una caccia al ladro.
(16 — continua)

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