Le rappresaglie degli italiani in Jugoslavia ricordano le Fosse Ardeatine Alla Seconda guerra mondiale nei Balcani sono dedicati molti libri. Tra di essi: Frederick W. Deakin, La montagna più alta. L’epopea dell’esercito partigiano jugoslavo (Einaudi); Giorgio Rochat, Le guerre italiane (Einaudi); Angelo Del Boca, Italiani, brava gente? (Neri Pozza); Guido Crainz, Il dolore e l’esilio (Donzelli); Marisa Madieri, Verde Acqua (Einaudi); Franco Vegliani, La frontiera (Ceschina); Fulvio Tomizza, La miglior
vita (Rizzoli); Enzo Bettiza, Esilio; (Mondadori) Claudio Magris, Alla cieca (Garzanti); Giacomo Scotti, Goli Otok (Lint)
Le rappresaglie degli italiani in Jugoslavia ricordano le Fosse Ardeatine Alla Seconda guerra mondiale nei Balcani sono dedicati molti libri. Tra di essi: Frederick W. Deakin, La montagna più alta. L’epopea dell’esercito partigiano jugoslavo (Einaudi); Giorgio Rochat, Le guerre italiane (Einaudi); Angelo Del Boca, Italiani, brava gente? (Neri Pozza); Guido Crainz, Il dolore e l’esilio (Donzelli); Marisa Madieri, Verde Acqua (Einaudi); Franco Vegliani, La frontiera (Ceschina); Fulvio Tomizza, La miglior
vita (Rizzoli); Enzo Bettiza, Esilio; (Mondadori) Claudio Magris, Alla cieca (Garzanti); Giacomo Scotti, Goli Otok (Lint) Come doveva essere l’italiano fascista? Un vero maschio, d’acciaio. Mussolini, a Gorizia, il 31 luglio 1942, detta la linea: «Non temo le parole, sono convinto che al “terrore” dei partigiani si deve rispondere con il ferro e con il fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre. Questa tradizione di leggiadria e tenerezza soverchia va interrotta (…) è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto».
I suoi generali sono concordi. Mario Roatta, comandante della II armata in Jugoslavia, futuro criminale di guerra sfuggito a ogni sanzione, è il modello dell’italiano nuovo. Nella sua circolare 3C ordina ai suoi sottoposti di uccidere gli ostaggi, di incendiare i villaggi, di deportare gli abitanti infedeli: «Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula dente per dente, bensì in quella testa per dente». Il generale di corpo d’armata Mario Robotti fa parte di quel cerchio magico di guerrieri dal volto umano: «Si ammazza troppo poco!», scrive in un documento. Il generale d’armata Alessandro Pirzio Biroli, governatore del Montenegro, è anche lui di quella feroce partita: lamenta l’eccessiva mitezza verso i rivoltosi «selvaggi» e conclude così un suo proclama: «La favola del “bono italiano” deve cessare!»
Si intitola proprio Bono Taliano la tragica cronaca di Giacomo Scotti (Odradek editore, pagine 253, 20), giornalista per decenni del quotidiano «La voce del popolo» di Fiume, autore conosciuto di un altro libro importante per la storia delle vicende successive alla Seconda guerra mondiale, Goli Otok, l’atroce Isola Calva, nel Quarnero, dove Tito confinava i dissidenti rimasti fedeli all’Unione Sovietica dopo la rottura con Mosca. (Claudio Magris ne ha narrato l’orrore di sangue e di violenza nel suo memorabile Alla cieca).
Il libro di Scotti, pubblicato nel 1977, rivede la luce oggi con una corposa appendice dell’autore, che completa l’opera con la ricca documentazione trovata negli archivi, soprattutto dell’ex Jugoslavia. Bono Taliano racconta le vicende del nostro regio esercito, da quando nell’aprile 1941 invase la Jugoslavia all’armistizio del settembre 1943, ma racconta anche la guerra partigiana fino al 1945 e spiega le ambizioni di Tito sulla Venezia Giulia.
Quel che accadde nell’ex Jugoslavia durante la Seconda guerra mondiale può fare da spaventevole simbolo della violenza e della degenerazione di un conflitto che viola anche le norme più elementari del diritto internazionale.
Le guerre nei Balcani sono sempre un inferno, ma la barbarie, in quegli anni, fece in assoluto da padrona. La violenza fu alimentata da etnie diverse e da nazionalismi esasperati. Gli italiani e i tedeschi contro i partigiani di Tito che, operaio metallurgico, seppe diventare un grande stratega e un sottile politico. E poi: gli ustascia, il partito croato di estrema destra fondato da Ante Pavelic nel 1929, e i cetnici contro i titini; i serbi monarchici contro i bosniaci musulmani; gli albanesi del Kosovo contro serbi e montenegrini. La guerra nei Balcani fu insieme guerra d’aggressione, guerra di liberazione nazionale, guerra civile, guerra ideologica, guerra di religione.
Nell’esercito italiano le inquietudini e i contrasti cominciarono presto. Le camicie nere seguirono i precetti di Mussolini e degli alti gradi, i soldati dell’esercito e gli ufficiali inferiori non nascosero invece il loro disaccordo sulle fucilazioni, le stragi, gli incendi dei villaggi, le deportazioni di massa. Le diserzioni furono sempre più numerose anche prima dell’armistizio: gli italiani che passarono dalla parte dei partigiani divennero la costante preoccupazione dei comandi.
Giacomo Scotti è un po’ troppo benevolo nei confronti delle brigate titine, che non furono angeli di umanità. Ma colpiscono certi minuti documenti come le lettere dei soldati italiani bloccate dall’occhiuta censura e finite negli archivi. Il fascismo non è la patria, i giovani mandati alla ventura cominciano a capirlo e rifiutano la guerra. Scrive un capitano a una signora di Genova il 14 luglio 1942: «Mi sento un boia. A furia di vedere barbarie incattivisco, non ho pietà nemmeno io stesso, comincio a restare impassibile dinanzi alla rovina».
Ci sono quelli che non posseggono neppure un barlume di umanità. Nel giugno 1943, il generale Pirzio Biroli fa fucilare 180 ostaggi per vendicare la morte in combattimento di 9 ufficiali del 383° reggimento fanteria: 20 a 1, una rappresaglia assai più feroce di quella nazista alle Fosse Ardeatine.
L’autore racconta con minuzia di fonti. Documenta le operazioni militari nazifasciste fallite, la Weiss, la Schwarz, descrive le innumerevoli stragi, le deportazioni, le fucilazioni: basta un sospetto. Il suo libro può essere molto utile per il lavoro degli storici.
Gli italiani non hanno ubbidito certo tutti alla volontà di Mussolini e dei generali. Il 12 marzo 1943 — un esempio — il vescovo di Trieste Antonio Santin scrive al sottosegretario agli Interni di Mussolini, Buffarini Guidi, una lettera accorata e indignata: «Uomini e donne vengono seviziati nel modo più bestiale (…). Per l’onore dell’umanità e per il buon nome dell’Italia, per il rispetto della legge e dell’autorità questi fatti devono cessare».
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