L’assetto che assumerà nei prossimi mesi la destra istituzionale deciderà inevitabilmente anche del destino delle estreme, soprattutto dal punto di vista elettorale. Il travaglio, in particolare, del partito di Berlusconi, risulterà decisivo.
In questo ambito gli orientamenti dell’ex componente di Alleanza nazionale, divisa tra chi vorrebbe continuare la battaglia nel Popolo della libertà, o in ciò che ne sarà, e chi intenderebbe dar vita a un nuovo soggetto politico, potrebbero innescare conseguenze non secondarie. Non pochi sono stati coloro che in questa corrente hanno guardato con simpatia alle manifestazioni dello scorso marzo promosse da La Destra di Francesco Storace contro il governo Monti, le lobby bancarie e l’Unione europea.
Se alla fine fosse questo il passo, che si tradurrebbe nel varo di un nuovo partito, ci sarebbe probabilmente posto anche per lui e per la sua organizzazione, nel quadro di una ricomposizione delle diverse anime che avevano un tempo convissuto in An. Non ci troveremo però di fronte alla semplice riedizione di Alleanza nazionale, tanto più dopo la dipartita di Gianfranco Fini, ma a qualcosa di più simile, almeno nelle intenzioni, al Front national di Marine Le Pen. La cifra prevalente sarebbe quella di un populismo ultranazionalista, all’insegna del rifiuto della società multiculturale, non disdegnando il recupero di aspetti della passata identità missina, forse solo in forme più moderne e meno catacombali. Comunque sia un progetto da spendere in alleanza con Silvio Berlusconi o con l’eventuale sua nuova creatura, in forte sintonia, per altro, con analoghe pulsioni interne al Pdl, vedi Daniela Santanchè e il suo tentativo di imitazione di Marine Le Pen.
Dal canto suo, Francesco Storace, in attesa degli eventi, non solo ha avviato un’interlocuzione con il Front national, ma sta attrezzando La Destra per farne un possibile punto di raccolta di tutti gli spezzoni organizzati del neofascismo. Una sorta di «polo nero», disponibile a sua volta a un accordo con la destra istituzionale nelle prossime elezioni politiche, in grado di andare oltre i modestissimi risultati ottenuti nelle ultime tornate amministrative, pur in alleanza con il Pdl, costantemente sotto l’1%. Già nel corso dell’ultimo anno ne La Destra sono confluiti i rimasugli del Fronte sociale nazionale di Adriano Tilgher, le residue truppe della Fiamma tricolore di Luca Romagnoli, sotto forma di patto elettorale, più altre schegge, a Roma, della cosiddetta destra sociale, un tempo sotto le ali di Gianni Alemanno. Qui, la sua sempre più deludente amministrazione, sta spingendo anche all’autonomizzazione di realtà come Casa Pound, in procinto (per ora solo a parole) di presentare una propria lista nelle prossime elezioni comunali.
A rimanere fuori dal coro potrebbe essere unicamente Forza nuova, nonostante i buoni uffici di Alessandra Mussolini, che già aveva caldeggiato in passato la causa di alcuni suoi candidati indipendenti da eleggere in Parlamento nelle liste del Pdl. Da qui il superattivismo di Fn degli ultimi tempi, i maldestri tentativi di interfacciarsi con alcuni movimenti di massa, da quello dei «forconi» a quello No Tav (inevitabilmente senza alcun risultato), accompagnato da svolte organizzative interne con prove di servizi d’ordine. Emblematica la promozione lo scorso 1 maggio a Predappio (guarda caso) di una giornata a livello regionale con «corsi di autodifesa» gestiti da non meglio precisati «maestri». L’idea rimane sempre quella dei «manipoli» stile anni Venti.
Se per l’insieme delle destre appaiono dunque ancora indefiniti gli approdi, con la Lega forse intenzionata a marciare per conto proprio, per alcune componenti sembrerebbe invece più chiara l’intenzione di guardare all’esperienza del Front national francese come possibile chiave di rilancio. In quest’ottica, sempre più, anche la denuncia della crisi come complotto mondiale delle élites bancarie governate dai massoni. Tornano sui alcuni quotidiani (Il Giornale e Libero) i nomi della Trilateral commission, del Club Bilderberg e dell’Aspen Institute, come ispiratori di non meglio precisati «Governi mondiali». Un’analisi in chiave complottista, patrimonio non più solo delle destre estreme, ma ormai trasversale, dalla Lega ad ampi settori dello stesso Pdl. Da qui i diversi terreni di incontro
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