L’e-archivio che salva il sapere

Clockss, una cassaforte per custodire la biblioteca universale

Clockss, una cassaforte per custodire la biblioteca universale Rivoluzione digitale e conservazione. Preservare i contenuti, garantire la loro sopravvivenza in un futuro anche lontano, è uno dei grossi temi che il libro nel terzo millennio deve affrontare. Non solo nel suo versante cartaceo, operazione che comporta, per le biblioteche, la digitalizzazione del patrimonio librario esistente, ma anche per quanto riguarda i contenuti che nascono già digitali e che, soprattutto nell’ambito accademico e scientifico, cominciano ad essere maggioritari. Garantire la durata nel tempo di un patrimonio di conoscenza che non viaggia più attraverso la carta ma attraverso documenti e meta dati basati sul Web, archiviare pubblicazioni per le quali l’edizione elettronica è l’unica esistente comincia a diventare una priorità, soprattutto per le biblioteche.

Conservare, in questo caso, significa rendere accessibile anche per i posteri ciò che oggi viene pubblicato, fare in modo che i formati di oggi siano leggibili anche domani permettendo una migrazione automatica: una priorità a cui molti grandi editori accademici e università hanno cercato di dare una risposta collettiva.
Clockss («Controlled Lots of Copies Keep Stuff Safe») è un prototipo di «dark archive» (cioè di archivio nascosto) a livello mondiale nato nel 2006 e sviluppato dalla Stanford University a partire da un progetto che risale al 1998. Oggi Clockss è un’associazione senza fini di lucro, gestita da un comitato direttivo e da un comitato consultivo. I membri fondatori invitano le biblioteche e gli editori a contribuire alla costruzione dell’archivio, a beneficio dell’intera comunità scientifica. Se il vantaggio per le biblioteche è quello di conservare il sapere per le future generazioni di ricercatori, per gli editori è invece un modo per conservare i loro titoli in un archivio sicuro senza dover affrontare i costi, spesso proibitivi, di costruire un loro proprio sistema di conservazione (il contributo annuale per le biblioteche parte da 450 dollari, per gli editori da 200 dollari).
Gli archivi della community dialogano tra loro e a livello di rete il sistema effettua un continuo controllo in automatico dello stato d’integrità delle copie dei documenti nelle memorie delle istituzioni socie e se un documento risulta mancante o danneggiato viene ripristinato richiedendolo all’editore oppure alle altre biblioteche che ne possiedono una copia. Costruito a basso costo su tecnologia open source, l’archivio Clockss è costituito da dodici nodi geografici distribuiti nelle principali biblioteche di ricerca di tutto il mondo che memorizzano e gestiscono i contenuti digitali. Un sistema basato sulla ridondanza, per evitare l’effetto Biblioteca di Alessandria, per cui se certi contenuti sono conservati soltanto in un luogo la loro perdita diventa un fatto irreparabile.
I contenuti archiviati da Clockss diventano accessibili unicamente in situazioni di emergenza che nel gergo specialistico vengono chiamate «trigger events», eventi scatenanti e che possono essere l’uscita dal mercato di un editore, l’indisponibilità di un titolo o di numeri arretrati di una rivista, l’errore umano, il guasto tecnico ma anche eventi catastrofici, siano essi di natura tecnologica o naturale, che possono produrre danni irreversibili. Durante lo scorso anno, si sono verificate tre situazioni di questo tipo e Clockss è intervenuto ripristinando, senza spese, l’accesso ai titoli sia per i membri di Clockss, sia per i possessori di abbonamenti correnti o antecedenti e per coloro che ne avessero avuto accesso da Internet. A Clokss hanno aderito anche diverse istituzioni italiane, dall’Università Statale al Politecnico di Milano, dalla Luiss di Roma all’Istituto di vulcanologia.
Dei dodici nodi mondiali (che a breve dovrebbero diventare quindici), cinque sono negli Stati Uniti. In Europa sono soltanto tre e tra di essi c’è anche l’Università Cattolica di Milano (gli altri due sono l’Università di Edimburgo e la Humboldt University di Berlino).
Domani al convegno di Ifbookthen organizzato nella sede dell’ateneo milanese, parlerà di questo progetto e, in generale, del problema del «cultural heritage», la direttrice della biblioteca della Cattolica Ellis Sada. «Da molti anni abbiamo rapporti con l’Università di Stanford — spiega —. La collaborazione con loro è nata alla fine degli anni Novanta, quando facevamo un corso di alta formazione per direttore di biblioteche italiane. Il “ponte” è nato in quella occasione e si inserisce pienamente nel solco della nostra Biblioteca, che ha circa un milione e mezzo di titoli. A Stanford l’editoria digitale ha mosso i suoi passi molto prima che da noi e quindi il tema della conservazione dei contenuti digitali è stato affrontato da molto tempo. Per noi è una sfida vinta nel processo di internazionalizzazione».
A discutere con Ellis Sada ci sarà anche Peter Brantley, direttore del Bookserver Project di Internet Archive, e si parlerà anche del tema della collaborazione tra editori e biblioteche e di come il modello Clokss possa essere esteso anche fuori dai confini dell’editoria accademica e specialistica. La sfida per la conservazione digitale d’altronde è appena cominciata.

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