TORTURA L’ex presidente di Amnesty International
Che l’Italia dopo vent’anni si appresti a introdurre nel proprio ordinamento penale il reato di tortura, regolarizzandosi finalmente rispetto alle convenzioni internazionali, fa tirare un sospiro di sollievo anche ad Amnesty International.
TORTURA L’ex presidente di Amnesty International
Che l’Italia dopo vent’anni si appresti a introdurre nel proprio ordinamento penale il reato di tortura, regolarizzandosi finalmente rispetto alle convenzioni internazionali, fa tirare un sospiro di sollievo anche ad Amnesty International. Ma i cavilli – a volte incomprensibili – di cui si sta arricchendo il testo all’esame della commissione Giustizia del Senato, soprattutto dopo le «osservazioni» del Guardasigilli Paola Severino che proprio ieri è tornata a Palazzo Madama per un nuovo confronto sul testo del ddl, «desta forti preoccupazioni» nell’organizzazione internazionale. «Per il momento la sezione italiana di Amnesty ha scritto una lettera al relatore, il senatore Pd Felice Casson, per sollevare alcune perplessità. Ma non è escluso che nei prossimi giorni si possa muovere anche il segretariato internazionale». La notizia arriva dall’ex presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi, docente di Diritto internazionale all’Università di Teramo. «L’Italia ha esercitato la sua libertà di scelta nel 1988, quando ha ratificato il trattato Onu – fa notare Marchesi – ora deve attenersi agli obblighi della convenzione. Altrimenti viola il diritto internazionale».
Finalmente però qualcosa si muove…
Dopo vent’anni di attesa non si può essere perfezionisti. Anche se il reato non sarà configurato perfettamente come chiediamo noi, è comunque un passo avanti. Ma c’è un limite. Affinché sia utile l’introduzione del reato, la fattispecie deve essere configurata secondo i dettami dell’Onu, senza eccessive restrizioni che stravolgono il senso della Convenzione.
Amnesty ha protestato per come si va configurando nella bozza messa a punto dalla Commissione Giustizia del Senato.
Più che una protesta al momento ci sono dubbi e preoccupazioni. Si protesta quando dall’altra parte non c’è volontà di recepire le perplessità e sciogliere i dubbi.
Cosa vi preoccupa in particolare?
L’impostazione generale data dal ministro Severino – così come risulta dagli atti della sua audizione in Commissione – e alcuni punti specifici del suo input non ci convincono.
Partiamo dai punti specifici
Per definire la tortura il testo impone che debba essere inflitta una sofferenza psico-fisica, cioè la coesistenza di entrambi i patimenti. La Convenzione Onu invece dice «fisica» o «psichica». La tortura, come viene praticata oggi in molti Stati, appositamente non sempre comporta l’insieme delle sofferenze. Altro punto: il testo parla di «persone private della libertà personale». Noi vorremmo essere sicuri che questo non significhi che la persona debba essere necessariamente arrestata e detenuta, ma che basti soggiacere al controllo del torturatore. Altrimenti casi come quello di Federico Aldrovandi, massacrato per strada, non sarebbe tortura. Ancora: il relatore Casson recependo le indicazioni del ministro Severino ha introdotto una formula per descrivere il reato. Nella convenzione Onu invece non c’è la descrizione dettagliata della condotta – la violenza, la minaccia grave o i comportamenti disumani o degradanti per la dignità umana – ma vengono solo descritte le conseguenze della tortura. Voler descrivere a tutti i costi la condotta – cosa che normalmente non si fa nei reati gravi contro la persona – è un’anomalia che rischia ancora una volta interpretazioni restrittive. Per ultimo, c’è un passaggio che non ha capito nessuno: si dice che la vittima deve essere «non in grado di ricevere aiuto». Ci piacerebbe proprio sapere cosa intendano dire.
Sembrano tutti cavilli ritagliati su misura ai casi che purtroppo la cronaca ci restituisce ogni giorno. Proprio in queste ore in cui si parla tanto delle pratiche di tortura in Siria, l’Italia non potrebbe fare di più?
Il problema di fondo è sempre lo stesso, perché il tabù della tortura resiste a livello internazionale: quasi tutti gli Stati tentano di porre dei vincoli restrittivi in modo da dare un’interpretazione minimalista e rendere così il reato di fatto inesistente. Questa è la preoccupazione di Amnesty. Anche l’ex ministro della Difesa americano, Donald Rumsfeld, disse che ad Abu Ghraib non c’era stata tortura ma «meri abusi». L’Italia ha l’obbligo internazionale di introdurre il reato così come lo definisce la Convenzione Onu. È un punto che non può essere messo in discussione, perché l’Italia ha già esercitato la sua libertà di scelta quando ha deciso di ratificare la Convenzione nel 1988. Ora deve solo adeguarsi agli obblighi imposti da quel trattato. Altrimenti si viola il diritto internazionale.
Cosa non vi piace dell’approccio generale del ministro Severino?
Il Guardasigilli asserisce che il nostro codice penale è già sufficientemente dettagliato e che dovremmo introdurre una nuova fattispecie di reato solo se si evidenziano dei «buchi». È un atteggiamento sbagliato perché la tortura ha una sua fisionomia specifica, comprensiva di tutti gli aspetti – il trattamento, gli scopi, la distruzione della personalità della vittima – che non si può ridurre agli elementi che la compongono. Farlo significa stemperare il reato, mentre si tratta di un atto che va affrontato con la consapevolezza della sua gravità.
La commissione Giustizia ha optato per il reato comune con l’aggravante per il pubblico ufficiale. Ma la tortura definita dall’Onu non è quella del comune cittadino, o no?
Esattamente. È una condotta specifica dell’apparato dello Stato nei confronti di chi è sottoposto alla sua autorità. Quindi il reato di tortura, così come dovrebbe essere configurato, è proprio del pubblico ufficiale. Per il cittadino comune esistono già altre fattispecie di reato.
Cosa prevede la legge negli altri stati d’Europa?
In prevalenza la tortura è un reato proprio del pubblico ufficiale. Ma diciamo che in una logica di compromesso si potrebbe configurare come condotta generale con le aggravanti. L’unica cosa che è inaccettabile è che si motivino certe scelte dicendo di non voler criminalizzare le forze dell’ordine. È inaccettabile perché in uno stato democratico evidentemente le forze di polizia professionali non possono avere interesse a che la tortura non sia punita.
0 comments