Efraim Zuroff guida la squadra che ha localizzato il criminale di guerra
Efraim Zuroff guida la squadra che ha localizzato il criminale di guerra GERUSALEMME. «Stiamo seguendo le tracce di oltre 1300 criminali nazisti, o presunti tali. Se anche soltanto l’uno per cento di questa gente finisse sotto processo per noi si tratterebbe di un successo enorme ». Efraim Zuroff, il cacciatore di nazisti, non nasconde la sua soddisfazione, dopo che la sua ultima “preda”, il responsabile delle deportazioni dal ghetto di Kosice, l’ufficiale delle SS Lazslo Csatary, è stato individuato e fotografato a Budapest. Ma quella di Zuroff è una soddisfazione a metà perché non si può dire che il processo contro Csatary sia proprio dietro l’angolo.
Zuroff, ci può raccontare come siete riusciti ad identificare Lazlo Csatary?
«Sapevamo che era vivo e che si nascondeva da qualche parte. Ma non sapevamo dove. Forse lui stesso ci ha involontariamente aiutati usando sempre il suo nome vero. Una volta individuato, non poteva che essere lui. Il nostro informatore ci ha indicato dove potevamo trovarlo. L’informatore voleva semplicemente intascare la taglia che avevamo messo su di lui, rimanendo nell’anonimato».
Di che somma stiamo parlando?
«Di 25 mila dollari, da pagarsi a condanna avvenuta. Sapevo chi fosse Csatary, il suo nome mi era noto da quando gli era stata revocata la cittadinanza canadese nel 1997. Abbiamo capito immediatamente che erano informazioni serie, e abbiamo iniziato a raccogliere tutti i dati disponibili sulle sue attività nel corso della guerra…».
Sembra di capire che la procura ungherese non vi abbia offerto una grande collaborazione.
«Mi sono incontrato con un rappresentante della Procura fino ad una settimana fa, ma nessuno ha la più pallida idea di come si svilupperanno le cose su quel fronte. Mi ero già rivolto alla procura di Budapest lo scorso settembre, c’è stata un’indagine ma…».
Non è successo nulla?
«Non si può dire che non sia successo nulla, ma ci sono mille modi per non mettere sotto processo dei criminali nazisti. Ogni procuratore le dirà che sarà fatto di tutto per arrivare a processarli, ma la distanza fra le dichiarazioni “politiche” e la prassi è molto grande. E’ stata la stessa cosa con Kafiro (un collaborazionista ungherese che si era rifugiato in Australia): ci hanno messo quattro anni e mezzo ad iniziare il processo, erano convinti che morisse prima, solo che Kafiro, 92 anni, questa volta non ha collaborato… ».
Come e dove viveva Csatary? Era una persona benestante?
«E’ senz’altro una persona benestante, un pensionato, padre di tre figli che però, a quanto ci risulta, non vivono in Ungheria. Abita a Buda, nell’11° quartiere, ha soldi e vive bene. Dopo la guerra si era rifugiato in Canada. E’ tornato in Ungheria dopo che gli avevano revocato la cittadinanza canadese, ma nessuno lo sapeva, tranne gli ungheresi, che però non hanno fatto nulla».
Nemmeno i canadesi sapevano?
«No, perché dopo la revoca della cittadinanza, Csatary non ha aspettato la sentenza di espulsione, che è un procedimento separato, ma se n’è andato volontariamente, si è dileguato. L’ironia sta nel fatto che nei 10 casi di ex ufficiali nazisti naturalizzati canadesi, a cui è stata revocata la cittadinanza negli anni 1994-97, solo due, fra cui Csatary, hanno deciso di andarsene volontariamente. Dei rimanenti otto, nessuno è stato espulso dal Canada. Da questo punto di vista, si è trattato di un fallimento totale».
Csatary abita ancora nella casa dove è stato rintracciato o si è nascosto da qualche altra parte?
«Prima di tutto la casa in cui è stato fotografato è già un nascondiglio. Non è la casa dove aveva abitato. Vi si è rifugiato dopo che la procura di Budapest ha iniziato le indagini. Quando hanno cominciato a girare le voci sulla sua presenza lì, ha preferito scomparire per un certo periodo».
Lei ha parlato l’ultima volta con “Repubblica” nel gennaio del 2008. Che cosa è cambiato da allora, avete individuato altri criminali di guerra?
«Sì, abbiamo pubblicato una lista nel nostro sito. Non si tratta di grossi nomi, ma di persone per le quali esiste, secondo noi, una buona probabilità che possano essere incriminati. Nell’aprile del 2011 erano in corso oltre 1300 indagini contro criminali nazisti, ma non ci saranno certamente altrettanti processi. Ogni Paese ha una storia diversa, un diverso modo di affrontare questo problema. In Italia, ad esempio, ci sono stati molti processi
in absentia.
E non si trattava di deportazioni e uccisioni di ebrei, bensì di stragi commesse contro altri civili italiani, come quella di Marzabotto o di Sant’Anna».
L’Operazione Ultima Chance, che lei ha lanciato, ha avuto i risultati che speravate?
«E’ difficile dirlo. Abbiamo ricevuto oltre 630 nominativi di sospettati, ma solo nove di essi possono essere definiti “casi concreti”. Nessuno di loro, tuttavia, è stato messo sotto processo fino ad ora».
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