il Caso Minetti o dei Capri Espiatori

Riuscirà  il sacrificio della capretta espiatoria da parte del capro espiatorio a raddrizzare le sorti del Super Capro Espiatorio? Il gioco intorno alle responsabilità  a scalare di Nicole Minetti, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi è tutto dentro la tradizione. Ma certo, per quanto la politica non sia «un gioco di signorine», ha qualcosa di indecente. Più indecente, se possibile, delle notti di bunga bunga. Il ricorso alla vittima sacrificale citato nel Levitico («Aronne poserà  le mani sul capo del capro vivo, confesserà  su di esso tutte le iniquità  degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati…») è stato usato mille volte come via d’uscita. Lo scrisse anche Indro Montanelli: «Quello di buttar tutto addosso a un capro espiatorio è un metodo di risolvere i problemi molto italiano».

Riuscirà  il sacrificio della capretta espiatoria da parte del capro espiatorio a raddrizzare le sorti del Super Capro Espiatorio? Il gioco intorno alle responsabilità  a scalare di Nicole Minetti, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi è tutto dentro la tradizione. Ma certo, per quanto la politica non sia «un gioco di signorine», ha qualcosa di indecente. Più indecente, se possibile, delle notti di bunga bunga. Il ricorso alla vittima sacrificale citato nel Levitico («Aronne poserà  le mani sul capo del capro vivo, confesserà  su di esso tutte le iniquità  degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati…») è stato usato mille volte come via d’uscita. Lo scrisse anche Indro Montanelli: «Quello di buttar tutto addosso a un capro espiatorio è un metodo di risolvere i problemi molto italiano».
Qualcuno ha vissuto l’evento con dignitoso fatalismo, come il tesoriere dc Severino Citaristi, uomo perbene coinvolto nel meccanismo perverso dei finanziamenti illegali: «No, guardi, la colpa è solo mia, gli altri non mi hanno scaricato addosso nulla. Sono io che ho trasgredito la legge». Altri hanno strillato rifiutando, a ragione o a torto, di prendersi tutte le colpe di errori o reati, casomai, collettivi.
Si pensi ai lamenti di Giovanni Leone, Achille Occhetto o Bettino Craxi che disegnava ad Hammamet vasi grondanti sangue tricolore e giù giù di decine di comprimari. Da Maurizio Gasparri quando fu depennato come ministro («Sono stato un capro espiatorio. Mi sento come Isacco, che fu scelto. Ma poi intervenne Dio in persona per salvarlo») a Sandro Bondi («Non merito la mozione di sfiducia individuale. Sono un ministro sotto accusa per il crollo di un tetto in cemento armato costruito negli anni 50 ma nessuno si ricorda dei “no” che ho detto per fermare scempi e abusi»), da Alfonso Papa a Luigi Lusi che si auto-commisera sempre così: «Un capro espiatorio».
Poche volte come negli ultimi tempi, forse a causa della crescente personalizzazione della politica, c’è stato un abuso della scelta di scaricare tutto su chi più era o pareva indifendibile. Basti ricordare il caso della Lega. Dove per salvare il più possibile Umberto Bossi sono stati scaricati via via Renzo «Trota» obbligato a dimettersi dal Consiglio regionale, Rosi Mauro spinta a dimettersi da vicepresidente del Senato e poi espulsa, Francesco Belsito prima benedetto dal Senatur come «un buon amministratore che ha scelto bene come investire i soldi» poi maledetto come un appestato infiltrato nel Carroccio dalla ‘ndrangheta.
Il punto è che come c’è sempre più puro che ti epura, anche nel comparto dello scaricabarile esiste la categoria della vittima sacrificale a cascata. Un esempio? La scelta, mesi fa, di scaricare Marco Milanese, il collaboratore assai chiacchierato di Tremonti, al posto dell’allora ministro dell’Economia, a sua volta individuato dal Cavaliere e dai suoi fedelissimi come l’uomo da additare come il principale colpevole della mancata realizzazione del grande sogno berlusconiano. Una citazione per tutte, la lettera di Bondi al Foglio: «Tremonti ha minato alla radice, fin dal primo momento, la capacità del governo di affrontare la crisi secondo una visione d’insieme…».
Ricordate l’aria che tirava nell’autunno scorso? Da Fabrizio Cicchitto ad Altero Matteoli, da Margherita Boniver a Saverio Romano fino a Luca Barbareschi la destra intera era in trincea nel rifiutare che tutte le responsabilità e tutte le colpe e tutti i peccati della crisi fossero rovesciati sull’ex San Silvio da Arcore. Un’immagine che Giuliano Ferrara fotografò così: «Berlusconi è in carica ma è l’ombra di se stesso. Nei suoi occhi e nel suo sorriso immortale si legge ormai la malinconia del capro espiatorio».
È perciò paradossale che a distanza di pochi mesi, dopo aver denunciato perfino in aula alla Camera il suo rifiuto di assumere quel ruolo così fastidioso, il Cavaliere abbia poi scelto di scaricare a sua volta il tracollo del partito sul capro espiatorio Angelino Alfano. E ancora più surreale che questi abbia individuato in Nicole Minetti, che fu imposta nel listino di Roberto Formigoni, la sub-capra espiatoria da sacrificare di colpo, «entro due giorni», per dare una rinfrescata all’immagine e rilanciare il Pdl o quel che ne sarà l’erede.
È probabile che i sondaggi abbiano individuato nella disinibita deputata regionale lombarda, celeberrima per quei messaggini hot («più troie siamo più bene ci vorrà…») una zavorra fastidiosa per il decollo del nuovo aquilone berlusconiano. Lo stesso Cavaliere però, ricorda un diluvio di messaggi online, nella famosa telefonata all’«Infedele» di Gad Lerner, urlò: «La signora Nicole Minetti è una splendida persona intelligente, preparata, seria. Si è laureata con il massimo dei voti, 110 e lode, si è pagata gli studi lavorando, è di madrelingua inglese e svolge un importante e apprezzato lavoro con tutti gli ospiti internazionali della regione». Insomma, una giovine statista dal luminoso avvenir.
Delle due l’una: o era tutto falso (comprese le definizioni sulle «cene eleganti») o era tutto vero. E allora nell’uno come nell’altro caso scegliere oggi la Minetti come vittima sacrificale, per quanto l’insopportabile signorina se le sia tirate tutte, sembra una piccineria non proprio da gentiluomini…

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