Nella depressione sociale ed esistenziale che pervade questo Paese è da salutare con una notevole dose di entusiasmo la proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre il reddito minimo garantito nella nostra legislazione, ancora priva di una misura così fondamentale per la tutela della dignità personale. Soprattutto dinanzi a una crisi che condanna milioni di donne ed uomini al rischio povertà e alla miseria economica e sociale, in una vita asservita all’ossessione del lavoro e della sua mancanza.
Nella depressione sociale ed esistenziale che pervade questo Paese è da salutare con una notevole dose di entusiasmo la proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre il reddito minimo garantito nella nostra legislazione, ancora priva di una misura così fondamentale per la tutela della dignità personale. Soprattutto dinanzi a una crisi che condanna milioni di donne ed uomini al rischio povertà e alla miseria economica e sociale, in una vita asservita all’ossessione del lavoro e della sua mancanza.
Questa iniziativa dovrebbe anche scuotere il coma letale, riguardo alla previsione di politiche sociali minimamente garantistiche, in cui è sprofondato il centro-sinistra al governo nell’attuale, rimodellata, unità nazionale per salvare il Paese a suon di politiche recessive e di austerity imposte dall’Unione europea. Ma una volta tanto i leader – o quel che ne rimane – della sinistra parlamentare potrebbero avere l’intuizione di osservare – e possibilmente dire, nelle loro quotidiane e logorroiche dichiarazioni stampa – che proprio la garanzia di un reddito di base ci è richiesta dall’Unione europea, per lo meno da un ventennio, a cominciare da una celebre raccomandazione del 1992 (la 92/441 Cee), rispetto alla quale rimaniamo tuttora inadempienti.
Soprattutto un’iniziativa popolare di tale tenore permetterebbe di parlare all’intera società e non è per nulla un caso che questa proposta parta proprio con una spinta dal basso di quell’associazionismo consapevole che sul tema del reddito minimo garantito si gioca non solo la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, ma la concreta possibilità di affermare una nuova idea di società e un radicale ripensamento del nostro sistema di Welfare; tutelare la persona «nel mercato del lavoro» – come va di moda dire – o, piuttosto, nella società in cui la persona vive, si organizza e tesse le sue relazioni; portare le garanzie aldilà dell’impiego tradizionale. Questi sono i modi per rilanciare un progetto egualitario di garanzia intergenerazionale.
Il reddito minimo garantito può essere inteso come un nuovo diritto fondamentale: uno ius existentiae, per realizzare una rete di protezione che affronti meglio la crisi sociale che stiamo attraversando. Ed è un rimedio alla crisi esistenziale che impedisce di abbandonare le persone nei momenti di difficoltà. Insomma il reddito minimo garantito è uno strumento di eguaglianza delle persone (nelle tutele) e di sviluppo dell’autodeterminazione esistenziale di ciascuno. E prospetta una società realmente garantista che metta nelle condizioni di rilanciare la propria esperienza e quindi contribuire al miglioramento sociale. Il reddito è, infine, l’affermazione di un modello sociale che permetta di sfuggire ai ricatti e investire collettivamente su forme di buona e degna vita, ancor più in un contesto di impoverimento generalizzato e intollerante populismo.
Tutto questo dovrebbe parlare in modo evidente e ineludibile a quel che resta della sinistra. La riappropriazione di un tradizionale strumento di democrazia diretta, per imporre alle sorde rappresentanze parlamentari scelte di politiche sociali più garantistiche – a partire dall’introduzione di un reddito minimo garantito – ci parla della possibilità di praticare un’uscita dalla crisi affermando una reale giustizia sociale, a fronte di un uso retorico che invoca un’equità che si trasforma nel suo opposto. Lo capirà l’agonizzante sinistra sindacale e parlamentare? Intanto quel che di meglio si muove nella società sembra averlo capito
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