Elton John Le confessioni di una popstar “L’Aids si vince con l’amore”

L’artista inglese racconta nel libro “L’amore è la cura” la sua battaglia per liberarsi da alcol e droga ma anche la fatica di dichiararsi omosessuale. E infine i successi con la sua fondazione per la ricerca   

L’artista inglese racconta nel libro “L’amore è la cura” la sua battaglia per liberarsi da alcol e droga ma anche la fatica di dichiararsi omosessuale. E infine i successi con la sua fondazione per la ricerca   
Dieci anni fa a Verona, prima di un concerto all’Arena: Elton John non si è ancora sbarbato, ci aspetta nella sua suite trasandato, in tuta, non ha una bella cera. Non sono pensieri frivoli quelli che gli frullano in testa. Ci ha invitati per parlare del disco, in realtà non ne fa parola. Ha altre priorità. La sua Aids Foundation, prima di tutto. Esiste dal 1992, non ha sortito i risultati che si era prefissa. Gli eventi per raccogliere i finanziamenti non hanno dato i risultati sperati, i farmaci, troppo costosi, non arrivano nelle remote regioni dell’Africa e dell’Asia dove ancora il virus miete vittime. Sir Elton è depresso, Ryan White, l’adolescente emofiliaco cui è stato vicino per anni e che ha contratto l’Aids attraverso una trasfusione, è morto da poco più di un anno. Piange, si mette spietatamente sotto accusa: «Quanti sbagli ho fatto come omosessuale? Il mio coming out è stato tardivo; ho detto la verità a mia madre solo da adulto; ho tenute segrete per anni tutte le mie storie gay; mi sono sposato con una donna per convenzione sociale; ho abusato di alcol e cocaina. Ecco il risultato di comportamenti come questi: nonostante le evidenze siano altre, c’è ancora chi pensa che l’Aids sia una malattia trasmessa dagli omosessuali».
Oggi la EJAF è una delle principali organizzazioni no-profit che ha investito in ricerca e prevenzione oltre 275 milioni di dollari in 55 paesi del mondo, grazie a Elton e alla sua infaticabile opera di sensibilizzazione. Lo scopo: coinvolgere sponsor, mobilitare vip e politici, far comprendere che «questa è una malattia che deve essere curata non con un miracoloso vaccino, ma cambiando i cuori e le menti, attraverso uno sforzo collettivo per infrangere le barriere sociali e costruire ponti di compassione ». Questo è il messaggio de L’amore è la cura, il libro di Elton John che esce domani in tutto il mondo (Ed. Bompiani Overlook, 238 pagg, 16 euro).
L’artista, 65 anni, è in un altro mood: si è rappacificato con se stesso, ha metabolizzato la scomparsa di Ryan, è stato il primo omosessuale inglese ad essere convolato a giuste nozze (con David Furnish, nel 2005, non appena la legge britannica lo ha consentito), da un anno e mezzo è padre del piccolo Zachary Jackson Levon Furnish-John avuto da un utero in affitto («È la luce dei nostri occhi. Quando sarà il momento gli spiegheremo perché non ha una mamma»), tiene in media cento concerti l’anno (ieri sera era a Cala Volpe, in Sardegna) e guida con la forza di un (re) leone la EJAF, perché sa che la battaglia non è alla fine ma è appena cominciata. Le cifre parlano chiaro, l’Aids è una piaga mondiale ed è un delitto che il livello di
guardia si sia abbassato: oltre 25 milioni di morti in trent’anni, 34 milioni di persone attualmente affette da Hiv e Aids nel mondo, 1,8 milioni di decessi ogni anno ossia quasi 5000 ogni giorno, la sesta causa di morte del pianeta. «Ma oggi abbiamo farmaci meravigliosi che possono tenere a bada il virus a tempo indeterminato impedendone di fatto la
diffusione», spiega Elton John. «Quello di cui abbiamo bisogno per sconfiggere l’Aids adesso è la compassione, l’empatia, l’impegno e, sì, l’amore, per fare in modo che tutte le persone affette dall’Hiv abbiano accesso alle cure esistenti e ai metodi di prevenzione consolidati (…) L’Aids è una malattia che non attacca soltanto il sistema immunitario
ma anche il sistema sociale. Infetta di paura le istituzioni civili, di odio e intolleranza le comunità, di avidità le aziende, di disprezzo le chiese, le sinagoghe e le moschee. Per questi mali sociali non c’è cura, non c’è ritrovato della scienza con cui possiamo vaccinarci».
L’amore è la cura racconta il percorso fatto da Elton prima e dopo la Foundation, il dolore per la morte dell’amico Freddie Mercury nel 1991 («Aveva tutto il corpo ricoperto di lesioni dovute al sarcoma di Kaposi, non riusciva a stare in piedi ed era diventato quasi cieco») e il suo coinvolgimento nel calvario di Ryan White, che contrasse la malattia a 10 anni e morì a 18, sempre nel 1991. Per l’artista fu la sveglia. Era cocainomane, alcolista e bulimico, aveva intorno amici che morivano di Aids, ma continuava a drogarsi e avere rapporti non protetti con il rischio di contrarre lui stesso il virus. «Mai stato così malconcio», rivela. «L’alternativa era cambiare o morire». Un programma di riabilitazione di sei settimane, poi il recupero «che non termina quando ti dimettono dall’ospedale. Non termina mai. Era, in fondo, una seconda occasione che non avevo fatto niente per meritare. In memoria di Ryan, non potevo permettermi di sprecarla». Con la sua morte un ragazzo della provincia americana salvò la vita della pop star che amava di più.

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