IN ATTESA DELLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE, LA CUI CONFERMA O MENO DEL GIUDIZIO DI CONDANNA DELLA CORTE D’APPELLO, AVRà€ COME EFFETTO PRATICO PIà™ EVIDENTE, LA POSSIBILITà€ O MENO di alcuni alti funzionari dello Stato, a vario titolo coinvolti nell’assalto alla Diaz, di continuare a ricoprire le loro cariche, vale la pena riflettere sulle conseguenze che la sentenza potrà avere sul modo in cui tanta parte della nostra società , e in particolare gran parte dei giovani, guardano allo Stato e alle sue Istituzioni.
IN ATTESA DELLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE, LA CUI CONFERMA O MENO DEL GIUDIZIO DI CONDANNA DELLA CORTE D’APPELLO, AVRà€ COME EFFETTO PRATICO PIà™ EVIDENTE, LA POSSIBILITà€ O MENO di alcuni alti funzionari dello Stato, a vario titolo coinvolti nell’assalto alla Diaz, di continuare a ricoprire le loro cariche, vale la pena riflettere sulle conseguenze che la sentenza potrà avere sul modo in cui tanta parte della nostra società , e in particolare gran parte dei giovani, guardano allo Stato e alle sue Istituzioni. In tempi di grandi tensioni economiche, politiche, sociali. La stragrande maggioranza di quelli che erano a Genova per il G8 del 2001, e di quelli che trovarono ospitalità nella scuola Diaz, non avevano nessun atteggiamento pregiudiziale verso le istituzioni. Le loro iniziative consuete avevano bisogno di una interlocuzione istituzionale. Volevano uno Stato che in tutte le sue articolazioni aprisse spazi alla loro azione solidale e mettesse a disposizione risorse e opportunità. Lo volevano cambiare, non abbattere.
L’aggressione della polizia, come spesso capita, prese di mira proprio i più miti e indifesi. Non li fece passare, per lo meno la maggioranza di loro, sul fronte dell’estremismo rivoluzionario, ma provocò una sfiducia nella possibilità di cambiare. Una perdita della credibilità complessiva delle istituzioni. Fra i più giovani fece sorgere un senso di sfida permanente verso le forze dell’ordine. L’abuso di potere fu individuato come il peggiore dei crimini. Si saldò progressivamente con stati d’animo maturati negli stadi e nelle notti metropolitane. Chi era a Roma alla manifestazione di «Uniti contro la crisi», ha visto come i giovani ribelli più arrabbiati fondessero il ricordo di Carlo Giuliani con quello del tifoso laziale Sandri ucciso da un poliziotto a un autogrill e a quello di Cucchi, entrato a Roma e mai uscito dalla cella in cui venne rinchiuso. Una ferita grave questa, che dura. Ha provato a sanarle il giudice che nella sentenza d’appello per la Diaz ha chiesto che i colpevoli pagassero per la colpa gravissima di aver fatto perdere a tanti giovani e alle loro famiglie fiducia nelle istituzioni democratiche e in chi dovrebbe far rispettare la legge.
Occorrerebbe ripartire da lì, e che la politica si rendesse conto dei danni enormi che l’impunità di cui troppo spesso godono i tutori della legge, è un fattore determinante dello scollamento fra tanta parte della giovane generazione e l’esercizio della democrazia. Siamo certi che la Corte di Cassazione giudicherà con imparzialità e competenza. Ma ci stupisce che l’Avvocato dello Stato, che dovrebbe rappresentarci tutti e che ascolta ed è ascoltato da chi ci governa, abbia richiesto sostanzialmente di rifare il processo, con ciò avallando la tattica dilatoria, di fatto mirante alla prescrizione dei reati, fin qui seguita dalla difesa degli imputati delle forze dell’ordine. Speriamo vivamente che non sia questo l’esito. E la lucida requisitoria del procuratore generale della Corte di Cassazione che ha chiesto la conferma delle condanne, fa ben sperare. Non è affidabile uno Stato che al vertice delle istituzioni che dovrebbero garantirne la sicurezza schiera persone impegnate ad evitare un giudizio su di loro o, ancor peggio, dei «prescritti».
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