Cosa resta di Pina Bausch?

Il figlio Rolf e l’assistente dell’artista Robert Sturm hanno creato una Fondazione che raccoglie tutti i materiali. E rifiutano l’intervento di altri coreografi. Musiche struggenti e corpi fragili, così vive la sua eredità 

Il figlio Rolf e l’assistente dell’artista Robert Sturm hanno creato una Fondazione che raccoglie tutti i materiali. E rifiutano l’intervento di altri coreografi. Musiche struggenti e corpi fragili, così vive la sua eredità   

LONDRA Il Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch trionfa a Londra: forse mai come ora appare festeggiata e richiesta la compagnia di danzatori-attori a cui s’affida l’eredità della geniale registacoreografa tedesca scomparsa nel 2009. Eppure in molti, dopo la sua dipartita, avrebbero scommesso sull’agonia dell’ensemble con sede a Wuppertal, dove la “grande madre” del teatrodanza europeo è stata operativa per quasi un quarantennio, in un perpetuo andirivieni tra la sua “casa” d’elezione — una tetra cittadina della zona più industrializzata della Germania — e i più disparati luoghi del pianeta. Viaggi ben testimoniati dal festival londinese organizzato in suo onore e incluso nelle manifestazioni culturali legate alle Olimpiadi.
Intitolata “World Cities 2012”, la mega-rassegna s’è appena conclusa con un bilancio sorprendente: recite tutte esaurite per un mese di spettacoli divisi tra due teatri, il Barbican e il Sadler’s Wells; dieci i titoli proposti, ciascuno ispirato (e coprodotto) da una delle innumerevoli città visitate e artisticamente esplorate da Pina Bausch. Il primo frutto di tale peculiare giro del mondo è stato Viktor, nato a Roma nell’86, e l’ultimo ha coinciso con la creazione su Santiago del Cile, che debuttò poco prima della morte dell’autrice. Altri spettacoli presentati a Londra sono dedicati a Hong Kong, Tokyo, Calcutta, San Paolo, Istanbul, Los Angeles, Palermo e Budapest. Formano complessivamente una mappa di emozioni, musiche struggenti, humour cattivo, sottolineature del senso del grottesco che si cela dietro le sembianze della nostra quotidianità, scenografie intrise di natura viva, e soprattutto corpi fragili e potenti al tempo stesso, come spinti oltre i propri limiti.
C’è chi non sopporta tanta visceralità: il critico Clement Crisp (Financial Times) giudica l’universo Bausch «noiosamente prevedibile». Ma a Londra il pubblico delirava d’entusiasmo ogni sera. E la compagnia, malgrado i suoi costi esorbitanti, riceve molti più inviti di quanti riesca ad accettarne. Oggi fa cento repliche a stagione, di cui trenta a Wuppertal e settanta all’estero. Quest’anno è prevista tra l’altro una lunga tappa a New York, e per quanto riguarda l’Italia ci sarà il San Carlo di Napoli nel 2013.
Alla profusione di revival firmati Bausch ha senz’altro contribuito il film-documentario di Wim Wenders Pina, che fu candidato all’Oscar: bel ritratto del-l’artista post-mortem che ci tuffa con intensità tridimensionale nella sua poetica, così emotivamente profonda da far dire alla danzatrice Barbara Kaufmann che «il lavoro di Pina era in 3D molto prima che lo fosse nel film». Resta comunque il fatto che tanto plauso postumo è stupefacente, trattandosi di una “compagnia d’autore” identificata con lo sguardo, la testa e il cuore della sua animatrice. Quando quest’ultima morì all’improvviso, a 68 anni, le redini del gruppo furono prese da Dominique Mercy, danzatore “storico” del Tanztheater, e da Robert Sturm, assistente della Bausch per un decennio, mentre a Rolf Salomon Bausch, figlio della coreografa, sono toccati i diritti dei suoi spettacoli, per gestire i quali ha creato una Fondazione che deve occuparsi di una mole immensa di materiali, inclusiva di 7.500 registrazioni video da catalogare. «Abbiamo deciso di non aprirci ad altri coreografi e di mantenere in vita il repertorio, composto da circa trenta titoli», spiega Sturm, «perché sentiamo tutti la responsabilità di offrire questi capolavori alle nuove generazioni ». E aggiunge che, «per ogni revival, le prove sono diventate un processo collettivo, dove i danzatori collaborano con i direttori nell’impegno di preservare la qualità, la freschezza e la vitalità delle opere rimontate».
Ma come fa un mondo d’autore a non fossilizzarsi nella museificazione?
Non si rischia la sclerosi, escludendo futuri apporti creativi? Domande che aleggiano, sospese come tabù, in una troupe che non smette di parlare al presente della sua fondatrice. Un eventuale coreografo “aggiunto” sarebbe visto come un intruso, in quel fenomeno complice e compatto che è il Tanztheater Wuppertal. Alcuni tra i danzatori hanno superato i cinquant’anni, ma vivono il linguaggio teatrale che li ha plasmati «in una prodigiosa simultaneità tra passato, presente e futuro», sostiene Julie Anne Stanzak, attiva nel gruppo da 26 anni, «e con fusione totale tra mente, anima e corpo».

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