Berlino Il condominio dei rom che non spaventa i vicini

Cucine pulite, bambini che giocano, un palazzo rinato così una zona piccolo borghese ha accolto 700 nomadi

Cucine pulite, bambini che giocano, un palazzo rinato così una zona piccolo borghese ha accolto 700 nomadi

BERLINO. La prova che sulla convivenza si può investire è a Neukölln, un quartiere di palazzine basse e giardinetti curatissimi. È un rione considerato dai berlinesi fin troppo “spiessburgerlich”, cioè piccolo borghese, chiuso al nuovo e al diverso, culturalmente lontano dal confinante Kreuzberg, da sempre roccaforte della sperimentazione e della mescolanza culturale. Eppure proprio qui è nato un esperimento particolare, quando un’immobiliare cattolica ha deciso di restaurare un complesso edilizio per lasciarlo ai nomadi che l’avevano occupato quando era semi diroccato. Dalla finestra aperta su Harzer strasse numero 65, all’angolo con la Treptower strasse, si vede una cucina pulitissima. Nel cortile interno, bambini con occhi scuri giocano sereni fra due tigli, salutando gli ospiti in tedesco. Sull’intonaco restaurato di fresco spiccano brillanti murales. Questo è il palazzo che i vicini chiamavano “Casa dei topi”. Questo è il palazzo che Benjamin Marx, responsabile
del complesso per la immobiliare cattolica Aachener, vuole lasciare alle famiglie di origine rom che l’avevano occupato un anno fa: «L’idea è offrire ospitalità a chi viene sempre discriminato», sottolinea il funzionario.
Siamo a due passi dalle locali “colonie”, giardinetti dati in concessione a privati, con alberi da frutto, casette in legno di pino, steccati dipinti di bianco e innaffiatori automatici, ma a solo pochi chilometri c’è il quartiere di Marzahn, oggi sfilata di palazzoni del socialismo reale, ma dove un tempo sorgeva il campo di raccolta degli “Zigeuner”, gli “zingari”, come i nazisti chiamavano le persone di etnia sinti e rom con un termine oggi considerato offensivo. La loro deportazione nel campo di Marzahn era cominciata proprio 76 anni fa, il 16 luglio del 1936, perché bisognava ripulire la capitale del Reich in vista delle Olimpiadi.
La storia proseguì con le deportazioni a Sachsenhausen e poi ad Auschwitz. Il bilancio di quello che in lingua rom si chiama Porajmos, cioè «la devastazione », fu di almeno 250 mila o 500 mila vittime, ma c’è anche chi parla di un milione e mezzo di persone sterminate, fra “zingari” e persone di sangue misto.
Gli inquilini del complesso di Harzer strasse 65 sono già settecento. La prima ondata viene dal villaggio bulgaro di Fantanele, secondo il quotidiano popolare
berlinese BZ tutto è cominciato quando un muratore disoccupato, diventato venditore di döner kebab, ha fatto amicizia con una ragazza romena.
È nato l’amore, poi il giovane è andato a trovare le famiglia di lei. E in pochissimo tempo l’intero villaggio si era trasferito a Neukölln. All’inizio era
un panorama di materassi abbandonati, rifiuti ovunque, topi. Poi è arrivata un’immobiliare di ispirazione cristiana, la Aachener. E l’esperimento è cominciato.
Per adesso molti inquilini vivono di assistenza sociale, fanno riferimento cioè alla Hartz VI, il sistema di sostegno per disoccupati. Ma chi può cerca lavoro, chi non può si impegna nel risanamento della casa, sempre sotto gli occhi di Benjamin Marx. E il programma è trasformare le palazzine in un centro moderno, c’è persino l’idea di costruire un piccolo teatro all’interno del complesso.
«Abbiamo buttato via 150 metri cubi di immondizia, abbiamo eliminato i topi. Adesso vogliamo nel complesso di Harzer strasse anche altre persone, non solo rom, abbiamo già altri aspiranti inquilini», dice Marx, amministratore dell’edificio e vero ispiratore dell’operazione. Secondo l’uomo della Aachener, i nomadi che si sono trasferiti in Germania in realtà avevano in Romania un villaggio con case in buone condizioni. Ma anche a casa loro erano una minoranza, e come tale venivano trattati. «Adesso voglio vivere qui, voglio un futuro tedesco per i miei bambini. Sono contenta perché qui ho anche i parenti, e voglio restare in questa casa», dice una madre con i capelli nerissimi raccolti all’indietro in una crocchia.
In tutta l’Europa, dicono gli attivisti delle organizzazioni pro nomadi, i pregiudizi sono duri a morire, solo nei mesi scorsi un settimanale della civilissima Svizzera ha pubblicato in copertina la foto di un giovane rom con una pistola giocattolo sotto il titolo: «Vengono i nomadi, ondata di furti in Svizzera ».
Pure fra i piccoli borghesi di Neukölln è arrivato l’appello della destra xenofoba, ma è caduto nel vuoto. Quando i nostalgici dell’organizzazione “Pro Deutschland” hanno distribuito volantini contro la presenza delle famiglie dei nomadi, nessuno gli ha dato retta. Per ora l’esperimento della Aachener va avanti. I vicini preferiscono ascoltare la fisarmonica di una famiglia di Bucarest, alla festa di quartiere, nel cortile dell’ex “casa dei topi”, che i richiami all’odio.

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