Sono lontani i tempi dell’indipendenza – Foto: ilpost.it
Al termine di molti anni di guerra, che aveva portato profondi cambiamenti sulle due sponde del Mediterraneo (a Parigi nasceva la V Repubblica sotto gli auspici e la guida del generale Charles De Gaulle), il 5 luglio 1962, esattamente 50 anni fa, l’Algeria otteneva l’indipendenza dalla Francia, un evento che fu una pietra miliare per il progressivo processo di decolonizzazione africano. Sono seguiti decenni in cui i periodi di pace e di stabilità furono l’eccezione rispetto a una regola fatta di colpi di stato militari, disordini interni, conflitti con le minoranze (soprattutto quella berbera della Cabilia), guerre con gli Stati confinanti.
Sono lontani i tempi dell’indipendenza – Foto: ilpost.it
Al termine di molti anni di guerra, che aveva portato profondi cambiamenti sulle due sponde del Mediterraneo (a Parigi nasceva la V Repubblica sotto gli auspici e la guida del generale Charles De Gaulle), il 5 luglio 1962, esattamente 50 anni fa, l’Algeria otteneva l’indipendenza dalla Francia, un evento che fu una pietra miliare per il progressivo processo di decolonizzazione africano. Sono seguiti decenni in cui i periodi di pace e di stabilità furono l’eccezione rispetto a una regola fatta di colpi di stato militari, disordini interni, conflitti con le minoranze (soprattutto quella berbera della Cabilia), guerre con gli Stati confinanti.
La terribile stagione del terrorismo poi ha colpito il Paese dal 1992 al 2000 con una serie indiscriminata di massacri che trovano rari paragoni anche nel tormentato Medio Oriente. I grandi festeggiamenti per l’indipendenza sono oggi offuscati da un clima teso e disilluso.
Dal 1999 è al potere il discusso Abdelaziz Bouteflika, eletto con il forte sostegno dei militari, che ha saputo districarsi molto abilmente tra la radicata presenza di fondamentalismo islamico, le turbolenze del Sahara e le relazioni con l’Europa sempre dominate dalle questioni energetiche. L’Algeria tuttavia, pur mantenendo una maggiore libertà di stampa e di opinione rispetto agli standard arabi, si è a poco a poco trasformata in un regime molto simile all’Egitto di Mubarak.
Nel 2011 la rivoluzione araba è passata anche per l’Algeria con manifestazioni di piazza che comunque che non hanno scalfito la tenuta del potere di Bouteflika. L’arcivescovo emerito di Algeri, Henri Teissier, dà questa spiegazione: “Nel 2011 e nel 2012, sono state non poche le manifestazioni di gruppi che chiedevano un cambiamento, soprattutto ad Algeri. Ma la massa della gente non ha seguito queste élite, perché l’Algeria ha avuto 150 mila morti nella stagione del terrorismo, e la gente vuole sì dei cambiamenti, ma assolutamente non vuole la violenza. Anche i risultati delle ultime elezioni non sono stati da poco, riscontrando un arretramento dei partiti islamisti, anche se federati in una «Alleanza verde». Il risultato sorprendente è dovuto senza dubbio al fatto che i giovani in gran parte non hanno votato, mentre adulti e anziani si sono diretti verso la sicurezza del voto convergente sul vecchio partito Fln…. C’è un ritorno alla shari’a, dopo l’abbuffata del socialismo e la stagione della violenza. Per questo nel rapporto dialogico con gli algerini bisogna rispettarli completamente nella loro ricerca, cercando relazioni vere, non colonialiste, non da superiore a inferiore. Da uguali. Per un futuro accettabile da tutti”.
Già, le elezioni. La consultazione per il rinnovo del Parlamento, avvenute il 10 maggio scorso, hanno visto una bassa affluenza alle urne, il 42,9%, e la scontata vittoria del Fronte di liberazione nazionale (Fln), sempre al potere fin dall’indipendenza, che ha conquistato 220 seggi su 462, sfiorando la maggioranza assoluta. Al secondo posto si è piazzato il Raggruppamento nazionale democratico del premier Ahmed Ouvahia con 69 seggi e al terzo l’Alleanza dell’Algeria Verde, che riunisce i partiti islamici moderati, con 48. Quest’ultima, in calo di consensi, ha denunciato in una nota brogli “su larga scala” e ha lanciato un monito sinistro al presidente Abdelaziz Bouteflika: questo risultato “espone la gente a pericoli di cui non ci vogliamo prendere la responsabilità”.
Così descriveva la situazione nei giorni successivi Nena News: “(Delle modalità con cui si sono svolte le elezioni è stata) soddisfatta, invece, l’Unione Europea, di cui l’Algeria è il terzo fornitore di gas naturale: gli osservatori Eu guidati da Jose Ignacio Salafranca hanno constatato che “i cittadini, in generale, sono stati in grado di esprimere il loro vero voto”. Parole che non si riscontrano nelle testimonianze degli algerini, riportate assiduamente dal quotidiano in lingua francese al-Watan. Senza dimenticare che alla missione Ue è stato negato all’ultimo momento l’accesso al registro nazionale di voto “per questioni di sicurezza nazionale”, il quadro che via via emerge sembra sempre più chiaro. Le lamentele fatte da alcuni partiti di opposizione sulle irregolarità del voto sarebbero confermate dalle segnalazioni dei cittadini e persino dalla Commissione nazionale indipendente di sorveglianza del voto. Uno dei suoi membri, Lakhdar Benkhelaf, ha denunciato addirittura l’assenza dei rappresentanti dei partiti nei centri di voto del governatorato di Costantina: “In oltre 400 collegi da noi registrati – spiega Benkhelaf ad al-Watan – non c’era alcun rappresentante dei 39 partiti in lizza per i 12 seggi del governatorato in Parlamento. Questo ha lasciato l’amministrazione libera di fare quello che vuole”. Sempre secondo Benkhelaf, molti supervisori si sono visti rifiutare la consegna del distintivo da parte delle autorità del luogo. La Commissione avrebbe inoltre colto alcuni agenti dell’amministrazione in flagranza di frode: avrebbero permesso ad alcuni cittadini non iscritti nelle liste elettorali di votare e di apporre le proprie impronte al posto dei votanti assenti. Scomparse anche le liste del Ffs in un seggio della città di Emir Abdelkhader. E anche in questo caso le donne, eterne invisibili del mondo arabo, non hanno avuto sorprese: sulle liste elettorali di alcuni centri i loro nomi non c’erano “.
Nelle settimane successive tuttavia le proteste e le denunce si sono placate e l’attenzione si è spostata alle frontiere con il Mali, a seguito del golpe del 22 marzo e della presa del potere da parte degli integralisti islamici. L’Algeria sta pensando a un intervento militare diretto. Una scelta dettata anche dalla crisi politica interna: infatti, a quasi due mesi dal voto, non è ancora stato formato un governo.
“La situazione di stallo politico – scrive il sito lettera43 – aggrava, per di più, la crisi che investe il Paese che si trova davanti a una serie di problemi che necessiterebbero di coesione al vertice della costruzione politica, ma anche di chi è all’opposizione, e che si possono condensare in pochi punti: economia, questione sociale, terrorismo.
Cose che, in fondo, si legano l’una all’altra perché gli algerini pressoché in blocco contestano all’oligarchia che governa il Paese di non sapere gestire (leggi: impossessarsi) gli enormi introiti della vendita di gas e petrolio, cosa che alimenta la rabbia della gente, su cui fa breccia il disegno integralista di fare dell’Algeria, come parte del Maghreb, uno Stato islamico. Ma senza governo tutto resta nel limbo dell’indeterminatezza e così accade che, mentre si dovrebbe lavorare a un nuovo esecutivo, i componenti del vecchio stanno redigendo la loro agenda fino a settembre. Quasi che a maggio non si sia votato per le legislative, ma per un referendum sul verde pubblico”.
L’Algeria resta dunque un paese molto tormentato, ma anche di essenziale ruolo strategico all’incrocio tra Europa e Africa, tra deserto e mare, tra idrocarburi e integralismo: un paese violento e pieno di voglia di vivere.
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