Una narrazione dopo la grande trasformazione

Il noir come genere letterario non ha bisogno di grandi presentazione. Sono anni che «romanzi neri» conoscono un successo di pubblico che gli autori di «romanzi bianchi» non riescono neppure ad immaginare. Hanno scalato le classifiche autori e autori scandinavi, francesi, spagnoli, greci, mentre cominciano ad essere tradotti scrittori di altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Il noir come genere letterario non ha bisogno di grandi presentazione. Sono anni che «romanzi neri» conoscono un successo di pubblico che gli autori di «romanzi bianchi» non riescono neppure ad immaginare. Hanno scalato le classifiche autori e autori scandinavi, francesi, spagnoli, greci, mentre cominciano ad essere tradotti scrittori di altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Eppure, è arrivato il momento di voltare pagine. Ad affermarlo è Massimo Carlotto nel libro-intervista The Black Album (Carocci editore, pp. 138, euro 13) sapientemente costruito da un giovane ricercatore e appassionato del genere, Marco Amici. Un testo utile per far conoscere il backstage di Massimo Carlotto, svelando come lavora, si documenta, costruisce le storie che poi prendono forma in romanzi che hanno scandito venti anni di storia italiana. Già perché Carlotto ha usato il noir per radiografare criticamente le tensioni, i mutamenti, insomma la controrivoluzione made in Italy. Dalla serie dell’Alligatore a quelle sul nord-est, fino ai romanzi inchiesta sulla Sardegna, lo scrittore padovano ha pazientemente composto una mappa di una grande trasformazione che ormai è alle nostre spalle. Da qui la necessità di una svolta.
La bussola che orienta il suo lavoro è, appunto, la convinzione che il noir abbia una «vocazione» critica, politica. Interessante è, da questo punto di vista, la distinzione tra giallo, hard-boiled e noir, assegnando a quest’ultimo una costruzione del romanzo che li differenzia dai suoi «antenati». In primo luogo, l’assenza di un finale consolatorio, dove tutto torna al suo posto, ripristinando l’ordine sociale che il «crimine» aveva fatto deflagrare. Già questo era presente nell’hard-boiled, ma con il noir viene meno la differenza tra bene e male, visto che mette in evidenza come il crimine, meglio la criminalità organizzata abbia stabilito un patto di ferro con l’attività economica legale e il sistema politico. Carlotto fa bene ad evidenziare come il noir possa essere considerato la mutazione letteraria del giornalismo investigativo, sottolineando così il venir meno del ruolo critico svolto dai media nei confronti del potere. È però questa vocazione politica del noir che sembra far scandalo, come testimonia un intervento pubblicato su «Lettura», l’inserto culturale del Corriere della Sera, firmato da Guido Vitiello (http://lettura.corriere.it). In quell’articolo viene stigmatizzata la tensione, la dimensione, appunto politica, del noir, sostenendo che il suo obiettivo di «narrare il reale» sia solo un vezzo ideologico. L’invito a spogliare il noir della sua politicità è in nome della solita e quest sì ideologica retorica sulla fine delle grandi narrazioni, evocando George Simenon e Agatha Christie quali esempi di gialli senza grandi pretese. Quasi, appunto, che il crimine si limiti al maggiordomo che uccide per chissà quali futili motivi.
Il vero nodo del problema che il noir mette in evidenza è di come il crimine, organizzato, va da sé, sia divenuto parte integrante dell’economia nazionale e globale; che questa fusione tra legale e illecito ha un grande sponsor nel sistema politico. L’Italia non è d’altronde un’anomalia, basti pensare a vicende e scandali che hanno coinvolto paesi come la Francia, gli Stati Uniti, la compassata Inghilterra, dove inchieste della magistratura locale ha messo in evidenzia la collusione tra criminalità organizzata e attività economica. E l’ordine del discorso diventerebbe più interessante se si citasse come la finanza sia diventata il cuore di questa pervasività della criminalità organizzata.
In Black album c’è anche la constatazione di come il crimine organizzato si sia globalizzato e di come il noir debba registrare e immaginare di forzare il genere letterario per meglio «narrare» questo reale. La grande trasformazione è dunque alle nostre spalle e come afferma Carlotto, occorre immaginare il noir non solo come rappresentazione della realtà, ma di porsi come una narrazione del conflitto, cioè dei conflitti che accompagnano la globalizzazione reale e di quelli espresse dalle forme di resistenza a questo nuovo ordine costituito

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