L’ultimo schiaffo è arrivato il 12 marzo scorso, quando la Corte d’Appello di Palermo ha deciso – accogliendo il ricorso presentato dall’avvocatura dello Stato – di sospendere l’esecutività della sentenza di primo grado che condannava il ministero dei Trasporti e quello della Difesa a pagare un maxi-risarcimento di 100 milioni di euro ai familiari delle vittime della strage di Ustica.
L’ultimo schiaffo è arrivato il 12 marzo scorso, quando la Corte d’Appello di Palermo ha deciso – accogliendo il ricorso presentato dall’avvocatura dello Stato – di sospendere l’esecutività della sentenza di primo grado che condannava il ministero dei Trasporti e quello della Difesa a pagare un maxi-risarcimento di 100 milioni di euro ai familiari delle vittime della strage di Ustica.
Uno schiaffo perché la decisione è sembrata l’ennesima violenza verso la memoria delle 81 persone che persero la vita in quella strage. E non solo per una questione economica, che pure avrebbe la sua ragione d’essere dopo anni di battaglie e di spese legali. No, è stata qualcosa di più. La sentenza stabiliva infatti una verità importante ma sempre e ostinatamente negata negli ultimi 32 anni, e cioè che i due ministeri vennero meno ai loro doveri non garantendo la sicurezza del volo ma soprattutto contribuendo ad occultare la verità attraverso depistaggi e la distruzione degli atti. Dopo tre decenni di silenzi e di verità negate si trattava, finalmente, di un importante passo in avanti, con i giudici di Palermo che per la prima volta facevano proprie le conclusioni raggiunte a suo tempo dall’ordinanza del giudice Rosario Priore, convinto che il Dc9 dell’Itavia venne abbattuto durante un’azione di guerra nei cieli del Mediterraneo.
Il prossimo processo si terrà nel 2015 e nel frattempo la verità su quanto accadde le sera del 27 giugno 1980 sarà ancora negata. Sì perché nonostante la collaborazione, più volte annunciata a parole, nessuno dei Paesi che potrebbe sapere quanto accaduto quella notte e verso i quali la procura di Roma ha inoltrato una richiesta di rogatoria, si è guardato bene dall’aprire i suoi archivi. «L’ultima risposta arrivata – ha denunciato pochi giorni fa Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime – è quella del Belgio che dice che le notizie sono di natura tali da pregiudicare i propri interessi militari».
La ricostruzione di quanto accadde quella notte descrive uno scenario di guerra in pieno Mediterraneo meridionale, con due caccia che ne inseguivano un terzo e tutti e tre gli aerei sulla scia del Dc9 Itavia. Obiettivo della missione era probabilmente quello di uccidere il leader libico Muhammar Gheddafi. che negli stessi minuti stava viaggiando verso l’Europa e che avrebbe fatto improvvisamente marcia indietro rientrando a Tripoli. Questa ricostruzione, fatta propria dai giudici siciliani, mette fine a tutte le altre ipotesi (dalla bomba al cedimento strutturale) che fino a oggi hanno inquinato la ricerca della verità. La stessa ipotesi della bomba era basata su una perizia eseguita nel 1994 e che in seguito è stata ritenuta inattendibile dai giudici. «Tutti gli elementi considerati – scrive infatti il giudice Paola Proto Pisani nelle 200 pagine di motivazione della sentenza – consentono di ritenere provato che l’incidente accaduto al Dc9 si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del Dc9 viaggiavano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del Dc9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei contro l’aereo nascosto, oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto e il Dc9». Una scena molto simile a quella descritta una volta dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che attribuì la risponsabilità dell’abbattimento del Dc9 alla Francia.
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