IL LINGOTTO, LA DR MOTORS E UNA CITTà€ AL COLLASSO
IL LINGOTTO, LA DR MOTORS E UNA CITTà€ AL COLLASSO
Lo stabilimento Fiat è chiuso dalla fine dell’anno, quando gli operai sono stati richiamati al lavoro dalla cassa integrazione per «svuotare le linee» e dismettere la fabbrica. Chi ha ucciso la Generazione Y? Ne parliamo con quattro «memorie storiche» delle lotte operaie nella cittadina siciliana TERMINI IMERESE
Le ultime Lancia Ypsilon prodotte a Termini Imerese lasciano i capannoni della Fiat verso la fine di dicembre. Lo stabilimento è stato dichiarato morto già da un mese, chiuso per «cessata attività» il 24 novembre, ma durante il funerale un centinaio di operai vengono richiamati al lavoro dalla cassa integrazione per «svuotare le linee» ancora piene di vetture da ultimare. Benché dimessi anche loro, gli operai non fanno storie, tornano in fabbrica come soldati e ricominciano a lavorare: lavorano e piangono, liberano gli impianti e si tormentano: «Ma chi l’avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così, umiliati in questo modo…».
È l’ultimo atto – cinico – della storia automobilistica del Lingotto in Sicilia: una storia cominciata felicemente nel giugno del ’69, quando ai metalmezzadri termitani – così venivano chiamati i primi operai reclutati dalle campagne – furono consegnati gli stampi per la mitica Cinquecento, e terminata appunto in lacrime 41 anni e mezzo dopo sugli impianti ormai defunti della Lancia Ypsilon.
Le bugie di Marchionne
Perché la Fiat ha chiuso Termini Imerese? Perché Sergio Marchionne, beffardamente premiato negli Usa come Uomo dell’anno proprio mentre in Italia gettava in mezzo alla strada oltre duemila lavoratori siciliani, non ha mai spiegato i veri motivi che l’hanno spinto a farlo? E perché, al contrario, ha giustificato la sua fuga con quella “bugia megagalattica” secondo la quale produrre auto a Termini «costa mille euro in più al giorno»? È da queste domande, le stesse che ancora tormentano e angosciano le ex tute blu che siamo partiti per ricostruire i passaggi principali di quello che Filippo Giunta, memoria storica del movimento operaio termitano, ex operaio Fiat anche lui ma licenziato negli anni ’80 per aver organizzato uno sciopero in fabbrica, paragona, non senza ragione, a un «delitto perfetto». È una ricostruzione a quattro voci, raccolte separatamente, e alla quale, oltre a Giunta, titolare di una libreria nel centro storico di Termini, partecipano Franco Piro, già assessore al bilancio di una della rarissime giunte di centro sinistra alla regione Sicilia (anno 2000), parlamentare Pd nella passata legislatura ed ex vicesindaco di Termini; Silvana Bova, segretaria della Cgil di Palerno e provincia, protagonista insieme ad altre donne terminane della lotta operaia che nel 2002 costrinse il Lingotto a riaprire lo stabilimento; e Roberto Mastrosimone, leader della Fiom alla Fiat, quindi testimone diretto della chiusura prematura della fabbrica. Cominciamo da lui: Marchionne ha smobilitato sostenendo che produrre auto qui «costa mille euro in più al giorno», come rispondete? «Che Marchionne ha detto una cazzata, una grande cazzata. Perché se vale il principio che produrre in Sicilia costa mille euro in più al giorno, allora Marchionne ci deve spiegare perché pochi mesi prima di chiudere voleva fare qui a Termini 220 mila vetture l’anno e deve spiegare perché nel 2008 ha firmato con noi, con i sindacati, un accordo per produrre a Termini la Nuova Ypsilon».
«Se produrre auto in Sicilia costa di più – prosegue Mastrosimone – è perché la Fiat ha progressivamente marginalizzato lo stabilimento riducendolo a un quarto della sua capacità produttiva. Se a un impianto che può fare 1.000 vetture al giorno gliene fai fare 300, è chiaro che è un impianto sotto utilizzato, è naturale che il costo aumenta. Questa però è stata una scelta industriale della Fiat non degli operai».
Il progetto Termini migrato in Serbia
«Sergio Marchionne – è il ragionamento a distanza di Franco Piro – non ha mai spiegato perché fare auto qui costa troppo, non si è mai degnato di mostrare le tabelle, ma se si guarda al costo complessivo, le automobili prodotte a Termini non costano più di quelle fatte negli altri stabilimenti più vicini ai mercati di destinazione. Questo perché le automobili che uscivano dallo stabilimento siciliano erano perfette. Quasi mai venivano ritirate dal mercato per qualche difetto. La litanìa sui costi è stata messa in giro dalla Fiat per precostituirsi le condizioni per sbaraccare dalla Sicilia. A tal proposito vorrei aggiungere che lo stesso programma che la Fiat doveva fare in Sicilia nel 2008, poi è andata a farlo in Serbia. È singolare la contemporaneità dell’annuncio definitivo della chiusura di Termini e la firma dell’accordo con il governo serbo per investire nello stabilimento Zastava: un investimento di 800 milioni che guarda caso la stessa cifra che prevedeva la produzione della Nuova Ypsilon nello stabilimento siciliano».
Gli investimenti previsti inizialmente a Termini sono in effetti migrati in Serbia, nello stabilimento di Kragujevac, dal quale proprio in questi giorni sono stati sfornati i primi prototipi della nuova Fiat 500, mentre gli impianti della Nuova Ypsilon, cominciati a costruire a Termini nel 2009 e per i quali era stati già spesi un centinaio di milioni, sono stati poi delocalizzati in Polonia, a Tychy, dove la manodopera è notoriamente pagata molto meno di quella italiana (recentemente c’è stata una mezza rivolta operaia proprio contro i bassi salari) e dove i diritti sul lavoro e sindacali lasciano evidentemente il tempo che trovano.
Un gioco di prestigio
Tutto questo è avvenuto quando Marchionne era all’apice della sua arroganza proprio contro i diritti sindacali in Italia, a Pomigliano innanzitutto, e mentre a Termini si allestiva il cosiddetto «delitto perfetto» teorizzato da Filippo Giunta: «In questi ultimi due anni – spiega – la Fiat ha illuso tutti facendo credere che la chiusura di Termini non era una chiusura ma un passaggio di consegne. La Dr Motors, che è un’azienda molto piccola che assembla macchine fatte in Cina, benché debole e piena di debiti e il cui presunto piano di riconversione dello stabilimento è fatto di cose non prevedibili (60 mila vetture low cost nel 2017, ndr), è diventata di colpo l’azienda che ha permesso alla stessa Fiat di andarsene in maniere incolpevole. Il fiume di denaro pubblico, 450 milioni di euro tra investimenti regionali e statali per la zona industriale e incentivi economici previsti per l’insediamento della Dr e per la mobilità degli operai vicini alla pensione, tutto questo, insieme alle promesse sulla futura riassunzione degli altri operai, hanno permesso di fatto alla Fiat di andarsene senza costi d’immagine nell’opinione pubblica. È stato un grande gioco di prestigio in cui i vari protagonisti non si sono adoperati per il futuro della fabbrica ma per favorire l’uscita di scena della Fiat».
«Per questo – prosegue Giunta – ho sempre paragonato la chiusura di Termini a un delitto perfetto, che si verifica quando non si riesce a individuare il colpevole, quando si tenta di occultare il cadavere e quando tutti sanno chi è l’omicida ma non trovano le prove. Ma qui se c’è un assassino questo è proprio la Fiat, che ha deciso di chiudere lo stabilimento senza che i motivi fossero legati allo stabilimento, che non aveva nessuno problema di produttività. La Fiat ha chiuso Termini perché dopo l’accordo con la Chrysler aveva bisogno di ridimensionare la produzione in Italia e Termini è stato il primo a saltare».
La denigrazione dei lavoratori
«Per giustificare questo – è ancora Giunta che parla – Marchionne ha tirato fuori la storia dell’auto che costa troppo e ha cominciato a insultare i lavoratori: li ha accusati di essere assenteisti, che scioperano per vedere le partite, li ha sbeffeggiati e umiliati di fronte al mondo. È stata messa in atto una campagna denigratoria micidiale, assecondata dalla gran parte dei media nazionali, tant’è che se si chiede in giro per l’Italia ai non addetti ai lavori perché la Fiat è andata via da Termini Imerese, tutti risponderanno per colpa degli operai».
La lotta operaia che salvò la Fiat
«Marchionne è stato ingrato con la Sicilia», dice Silvana Bova: «Nel 2002 l’azienda era in fallimento, stava portando i libri contabili in tribunale. Se la Fiat è tornata al centro dell’attenzione politica e ha poi ripreso impulso, ottenendo anche incentivi economici dalla stato, lo deve proprio alla lotta degli operai termitai che la salvarono dalla bancarotta. Se dunque Marchionne oggi è così potente dovrebbe ringraziare proprio quei lavoratori che lui ha messo in mezzo alla strada accusandoli di cose false e ingiuste».
Ma il supponente Marchionne ha fatto tutto da solo o ha “agito in combutta” con altri soggetti? E chi sono gli altri eventuali complici del delitto termitano? Insomma chi ha ucciso la Generazione Y?
«I poteri forti di questo paese – riprende Mastrosimone – quindi gli industriali che hanno cavalcato la sua decisione, il governo Berlusconi che l’ha assecondata, la politica in generale che non è stata in grado di dare risposte diverse e ci mettere anche qualche pezzo di sindacato». Per esempio? «A me è rimasta impressa una trasmissione televisiva in cui il segretario della Cisl Raffaele Bonanni ripeteva le stesse parole di Marchionne e cioè che produrre auto a Termini costa mille euro in più al giorno. Le cose sono due: o Bonanni ha condiviso le sue scelte o non conosce i fatti, ma se un sindacalista parla senza conoscere i fatti…». Ancora Bova: «La spaccatura del sindacato di questi anni ha pesato tantissimo anche sulla chiusura di Termini. Se nel 2002 abbiamo vinto contro la Fiat è perché i lavoratori erano uniti: tutti gli altri stabilimenti Fiat, da Melfi e Mirafiori stavano con noi. Abbiamo lottato insieme perché se finiva Termini finivano anche gli altri. Questa volta invece ognuno ha pensato per sé e Termini ha perso. Ma io credo che se Marchionne ha potuto raggiungere il suo scopo è soprattutto per colpa della politica perché quando la Fiat ha deciso di chiudere la Fita in Sicilia a Palazzo Chigi c’era Berlusconi indaffarato in altri pensieri, un governo che non aveva uno straccio di politica industriale. Marchionne non ha avuto nessun ostacolo. Nessun politico da Palermo a Roma ha cercato di contrastarlo. Gli operai di Termini, le loro proteste, che pure ci sono state, non hanno avuto ascolto da nessuna parte».
Le ripicche mortali di Totò Cuffaro
Piro: «Con i se e con i ma la storia non si fa, ma io inviterei a considerare anche il ruolo altrettanto grave svolto dalla regione Sicilia. L’accordo del 2007 – quello poi migrato in Serbia – che prevedeva la trasformazione dello stabilimento di Termini in un vero polo industriale con un incremento occupazionale fino a 5 mila addetti, era arrivato a conclusione, ma all’inizio del 2008 l’allora governatore Totò Cuffaro fu condannato per mafia. Negli ultimi convulsi giorni dell’Assemblea regionale si tentò di portare a compimento i due decreti sul reperimento delle aree e sugli incentivi ai contratti di formazione che avrebbero dovuto avviare il contratto sottoscritto dalla Fiate dalla Regione con le parti sociali. Ma non se ne fece nulla perché Cuffaro si rifiutò di firmali per ripicca contro il presidente della Fiat Montezemolo che aveva chiesto le sue dimissioni dopo la condanna. Quindi inizialmente da parte della Fiat c’era la volontà di investire su Termini. Vero è che poi l’accordo con la Chrysler ha spostato radicalmente il baricentro dell’interesse Fiat. Da allora il suo cuore non è più in Italia e tra poco io credo non ci sarà più neanche la testa».
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