Stato-mafia, indagato anche l’ex ministro Conso

Chiusa l’inchiesta:“La trattativa proseguì fino al‘ 94 durante il governo Berlusconi”   

Chiusa l’inchiesta:“La trattativa proseguì fino al‘ 94 durante il governo Berlusconi”   

PALERMO — Fu l’ex ministro Dc Calogero Mannino ad avviare la trattativa con i vertici di Cosa nostra, all’inizio del ’92, perché temeva di essere ucciso. Poi, sarebbero stati i carabinieri del Ros a proseguire il dialogo segreto fra Stato e mafia, tramite l’ex sindaco Vito Ciancimino. Dopo il ’93, invece, i boss avrebbero avuto un altro referente nei palazzi delle istituzioni: l’attuale senatore Marcello Dell’Utri. Così la Procura di Palermo ricostruisce una delle pagine più buie della storia recente del Paese: dopo quattro anni di indagini, un atto d’accusa di nove pagine, la sintesi di 120 faldoni, chiama in causa dodici persone, per i magistrati sono loro i protagonisti di un patto scellerato che Paolo Borsellino avrebbe scoperto nella sua fase iniziale.
Quella trattativa ebbe il suo culmine nel 1994, ne sono convinti il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene: fu allora che i capimafia Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca «prospettarono al capo del governo in carica Silvio Berlusconi, per il tramite di Vittorio Mangano e Dell’Utri, una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura». Così è scritto nell’avviso di chiusura delle indagini. In cima al documento ci sono i nomi dei capimafia: Riina, Provenzano, Bagarella, Brusca e Antonino Cinà. Seguono i nomi di rappresentanti delle istituzioni e di po-litici: Antonio Subranni, Mario e Giuseppe Donno, all’epoca l’anima del Ros dei carabinieri; Mannino era ministro; Dell’Utri, il braccio destro di Berlusconi. «Hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato», recita l’atto d’accusa fondato sulle indagini della Dia di Palermo, diretta dal colonnello Giuseppe D’Agata. «Hanno agito in concorso con l’allora capo della polizia Parisi e il vice direttore del Dap Di Maggio, deceduti»: loro avrebbero ammorbidito la linea dello Stato contro la mafia, cedendo su centinaia di 41 bis, il carcere duro varato dopo le stragi.
L’atto d’accusa della Procura prosegue con il nome dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza: «Deponendo al processo Mori – scrivono i pm – anche al fine di assicurare ad altri esponenti delle istituzioni l’impunità ha affermato il falso e comunque taciuto in tutto o in parte ciò che sapeva». I magistrati ritengono che anche l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso e l’allora capo del Dap Adalberto Capriotti abbiano mentito: sono indagati per false dichiarazioni ai pm, ma per questo tipo di reato la loro posizione è sospesa, così ordina il codice penale, in attesa della definizione del processo principale.
C’è pure Massimo Ciancimino nella lista che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio: è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, ma anche di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Si profila un processo senza precedenti: insieme, i vertici della mafia e dello Stato. Uno dei pm del pool, Paolo Guido, non ha però condiviso la sintesi finale dell’inchiesta, e ha deciso di non firmare l’atto d’accusa.

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