Riaprite il caso Bianzino

 

Aldo morì nel 2007 in circostanze oscure nel carcere di Perugia. Nel 2009 venne tutto archiviato come morte «naturale». Ora, dopo nuove verità  emerse, la richiesta al ministro della giustizia della famiglia, del comitato «Verità peraldo» e di due parlamentari, Rita Bernardini (radicali) e Walter Verini (Pd)

 

Aldo morì nel 2007 in circostanze oscure nel carcere di Perugia. Nel 2009 venne tutto archiviato come morte «naturale». Ora, dopo nuove verità  emerse, la richiesta al ministro della giustizia della famiglia, del comitato «Verità peraldo» e di due parlamentari, Rita Bernardini (radicali) e Walter Verini (Pd)

Riaprite quel caso! Il caso è quello di Aldo Bianzino, falegname di Pietralunga (Perugia) morto nel 2007 nel carcere del capoluogo in circostanze oscure e le cui indagini per l’ipotesi di omicidio si chiusero nel 2009 con un’archiviazione per morte «naturale». La richiesta viene dalla famiglia: dal padre e dalla madre di Aldo e dal figlio Rudra, un ragazzo di 18 anni che allora ne aveva solo 14 e che adesso dimostra la maturità di un trentenne. Vicino a loro, sin dalle indagini preliminari, il comitato «Veritàperaldo» – un gruppo di gente della provincia di Perugia vero e proprio caso di «cittadinanza attiva» – e due parlamentari, Rita Bernardini (radicali) e Walter Verini (Pd) che hanno seguito quella vicenda passo a passo e hanno chiesto lumi al ministro di giustizia. Che per ora non ha risposto.
La cornice è quella del Teatro Valle di Roma che volentieri ospita la conferenza stampa. Maura e Giuseppe Bianzino dicono solo qualche parola: tengono un profilo basso ma fermo, come hanno sempre fatto con grande dignità, convinti che la battaglia di verità su Aldo sia anche un impegno dovuto ai tanti che muoiono in carcere, specie per via di uno spinello. «Dico solo due cose – esordisce Bianzino – la prima è una domanda: ne uccide più la cannabis o le leggi sulla cannabis? La seconda è molto semplice: lo Stato deve sapere che qualsiasi risarcimento, ammesso che una morte si possa risarcire, sarà interamente devoluto a Emergency». Un uomo, una donna, un ragazzo sopravvissuti al figlio e al padre (come gli altri due figli di Aldo, Elia e Aruna) trasformano il loro dolore in battaglia civile. Sta agli avvocati (Massimo Zaganelli e Cinzia Corbellini) spiegare perché: l’evento naturale per cui Aldo sarebbe morto è un aneurisma che però non è mai stato trovato e che non è quello segnalato da una fotografia cerchiata in rosso che appare sulla relazione di consulenza tecnico legale su cui si basò il giudice per archiviare. Ma non è tutto: c’è un fegato sanguinante con una rilevante presenza di sangue e non ci sono invece, o almeno nessuno di loro li ha mai visti, i fotogrammi della telecamera interna al carcere che non avrebbero mai ripreso i momenti cruciali della morte di Aldo in quell’alba del 2007.
La vicenda dell’aneurisma che non c’è è saltata fuori in un recente processo collaterale (con condanna di una guardia carceraria per omissione di soccorso) dove è stata messo in dubbio la fotografia che evidenziava l’aneurisma. C’era o non c’era? E se non c’era, non cade forse l’ipotesi dell’«evento naturale» su cui si decise l’archiviazione? «Il dovere di una procura, ora che quegli elementi sono caduti – dice Zaganelli – dovrebbe essere quello, automaticamente, di riaprire il caso d’ufficio. Cosa che al momento non risulta». È insomma, ancora una volta, una professione di fede nelle leggi dello Stato, cui spetta ora rispondere. Eccco spiegata la presenza dei parlamentari.
Bernardini e Verini hanno già chiesto per altro con più interrogazioni. Al ministro. «La risposta potrebbe arrivare in dieci giorni», spiega Bernanrdini, che con Verini ha risollevato la questione dopo la pubblicazione sul mensile Terra e su il manifesto della ormai famosa foto dell’aneurisma che non riguardava però il cervello di Aldo. Il caso del resto non ha mai smesso di appassionare. Oltre che avvocati e parlamentari, anche tantissimi cittadini italiani che di Aldo si ricordano bene, come ha dimostrato una recente trasmissione di Radio3 dedicata al caso: «Ci sono arrivate decine di mail – dice il conduttore di Tutta la città ne parla Giorgio Zanchini – una cosa che non succede se non per grandi temi che evidentemente toccano una larga fetta di ascoltatori». E anche Verini, eletto a Città di Castello, ricorda quanto il caso sia stato seguito e quanti altri, purtroppo, meriterebbero di esserlo in una città, Perugia, il cui carcere «ospita per il 75% extra comunitari». Dalla città di Aldo Capitini, nota per la marcia Perugia Assisi, arriva anche l’appello della Tavola della pace: «L’Umbria, terra di pace e di fratellanza, attende che venga sanata questa ferita. Riaprire quel processo vuol dire compiere un gesto di riconciliazione nel nome dei valori che sono alla base di questa terra e della nostra Repubblica».
Un coro insomma che da sommesso si fa sempre più forte sul caso dell’ebanista che fu trovato con alcune piante di cannabis coltivate in giardino. E subito dopo morì in prigione. Il Comitato per Aldo chiede che nuove indagini chiariscano i molti altri punti oscuri. A partire dal momento dell’arresto di Aldo e della madre di Rudra, Roberta Radici, prematuramente scomparsa. Tanti piccoli e grandi particolari potrebbero rimettere assieme un puzzle troppo incompleto e forse restituire una verità che la sentenza di archiviazione del 2009 ha lasciato in sospeso.

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IL CASO ALDO BIANZINO
Quando la giustizia non risponde più

Il parlamentare chiama. Il governo fa melina. Anzi ignora. Succede con le interrogazioni parlamentari, l’arma che dovrebbe consentire a senatori e deputati di avere chiarimenti, delucidazioni, risposte appunto. “Ma – spiega la parlamentare radicale Rita Bernardini – nel caso della giustizia, in questa legislatura, sia con questo governo sia con quello precedente, le risposte alle nostre richieste sono state il 2%. Eppure quello della giustizia è uno degli ambiti più sensibili: le carceri sono luoghi in cui si pratica l’illegalità e il sindacato ispettivo un dovere e un diritto del parlamentare. Ma nel 98% dei casi la risposta non è mai arrivata. Va un po’ meglio altrove: all’Interno, su cento domande la risposta è arrivata per 22…”. Rita Bernerdini, che è un noto osso duro, si è rivolta a Fini brandendo il regolamento. E qualcosa ha ottenuto. L’obbligo per il governo di rispondere in commissione, dove di solito si manda un sottosegretario: “Penso che nel caso di Bianzino, avremo dunque una risposta entro un paio di settimane, forse una decina di giorni. E’ sarà una risposta scritta come previsto dal regolamento”. Bernardini è anche la promotrice di una proposta di legge che depenalizza la coltivazione privata di erba. Che è già in calendario.

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