Non solo Dalà, l’arte del cattivo gusto ha conquistato la nostra vita
Non solo Dalà, l’arte del cattivo gusto ha conquistato la nostra vita
MILANO. Nel 1968 ne sviluppava la teoria in un celebre libro, ora Gillo Dorfles raccoglie alla Triennale di Milano quadri, collage, arredi, oggetti inutili e bizzari entrati ormai nel vivere quotidiano.
Adesso invece il più plateale pornokitsch ricco di sculacciate (di lui a lei, ovvio) del romanzo Cinquanta sfumature di grigio, opera sadomaso rosa di una grassoccia casalinga inglese, sta provocando in tutto il mondo, oltre a picchi di vendita, discussioni massimamente colte tra femminismo e pornografia, liberazione e sottomissione; del resto riallacciandosi a ben più ardite immagini, erotico-religiose, come certe cartoline ’900 che rappresentavano donnine nude legate con grosse corde ad una croce, o semplicemente alla serie di fumetti Jacula (Il bacio della mummia), raccolte nel volume (1971) Le chefs d’oeuvre du Kitsch.
Tre anni prima, nel 1968, Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto di Gillo Dorfles, pubblicato da Mazzotta, era piombato come un fulmine, e non solo in Italia, in mezzo all’arte e alla mondanità, all’avanguardia e all’accademia, suscitando curiosità, scontri, dibattiti, oltre all’eliminazione immediata da casa di macinapepe a forma di torre Eiffel, regalo della nonna, e di certe poltrone fatte di corna di cervo al momento non sufficientemente ironiche e poco dopo di nuovo ricercatissime, ogni volta che il Kitsch passava dal ludibrio alla venerazione. Il termine Kitsch già allora aveva più di un secolo, essendo nato negli anni ’60 dell’Ottocento a Monaco di Baviera per definire, nel mercato dell’arte, dipinti e oggetti popolari, di poco prezzo. Negli anni ’30 del Novecento se ne erano impossessati, deplorandolo, teorici come Adorno (il Kitsch serve a distrarre il popolo dall’oppressione capitalistica); Broch (è il male dentro il sistema dei valori dell’arte); e Greenberg (il Kitsch è l’opposto dell’avanguardia).
Adesso, e son passati ormai 44 anni dal suo saggio più volte ristampato, è ancora Gillo Dorfles a curare per la Triennale di Milano una mostra festosissima e al contempo lugubre, intitolata Kitsch – oggi il Kitsch (aperta al pubblico da domani al 26 agosto). Impresa quanto mai rischiosa e addirittura eroica, che solo un artista, critico e studioso di estetica come lui, vigile, agile, appassionato, per di più di 102 anni, può aver avuto il coraggio e l’imprudenza di proporre; in tempi in cui è la nostra intera vita ad essere diventata senza scampo, Kitsch, soprattutto nell’avanguardia e nell’innovazione. Il pezzo fondamentale della mostra occupa un intero grande locale, ed è il monumento a un Kitsch sorprendente come potevano essere,
negli anni ’30, con l’etichetta di Surrealismo, il divano rosso a forma di bocca di Dalí e la scarpa con tacco al posto del cappello di Schiaparelli. È una vera giostra fabbricata in Italia, di quelle che girano il mondo nei parchi di divertimento, che al posto di cavalli o carrozze e automobiline, ha delle enormi
tazze da caffè e al centro una caffettiera: per quale ragione dei bambini, o anche degli adulti, possano desiderare di girare in tondo dentro una tazza con piattino, è talmente misterioso da creare un Kitsch non dissimile da quello horror delle copertine disegnate dei giornali scandalistici di fine ’800, tipo
La
femme coupée en morceauxmenait une vie double.
Aldo Colonetti, direttore di
Ottagono,
gli architetti Anna Steiner e Franco Origoni, lo storico dell’arte Luigi Sansone, con la supervisione di Gillo Dorfles, senza sponsor e quindi con pochi soldi, hanno messo insieme Kitsch d’epoca, (tra cui, Dalí,
Savinio, Usellini, Bay, Del Pezzo) e cercato kitschisti degli ultimi anni tenuti a bada dal mercato dell’arte ancora fermo, per ora, alle balene in formaldeide e alle videofellatio; e hanno dedicato una stanza ai teschi colorati con piume, orecchini, granchi ed altro di Rudy van der Velde, e poi pescato nelle opere recenti di artisti isolati, la cui avanguardia consiste nel fare girare la testa per la supremazia inventiva del Kitsch, che resta il loro segreto più intimo: come le poltrone
Miss Butterfly o Lady Chatterley, che Carla Tolomeo, vedova di Giancarlo Vigorelli, ha ricoperto personalmente di velluti multicolori, e che arredano la sua casa, probabilmente paradiso del Kitsch. Un’altra signora di Bergamo, Vannetta Cavallotti, sedie con braccia o con gambe, certa del suo talento, non è affatto contenta di essere stata inclusa in un panorama Kitsch. Tra i tanti collezionisti di oggetti Kitsch, Elio Fiorucci ha imprestato una serie di Brontolo, Pisolo e altri nani, le sue famose manette di piume di struzzo rosa, una lampada leopardata sostenuta da due gambe di donna, che trionfano in mezzo a una massa tale di oggetti orribili da seppellire del tutto, finalmente, quella frase quasi scomparsa se non per definire certe villanate politiche che è “di buon gusto”.
Certo il massimo collezionista di oggetti Kitsch è Roberto D’Agostino, che ha stipato la sua grande casa romana con centinaia di migliaia di oggetti sensazionali, memorabilia da tutto il mondo, turistiche, religiose, blasfeme, erotiche, pubblicitarie, propagandistiche. Infantili. Esempio eccelso di Kitsch politico, sul tetto di casa, le statue alte tre metri di Mao, dipinta di verde, e di Berlusconi, d’oro. Il Kitsch, con tutto il suo mistero e la sua vitalità, al di là delle Mostra milanese e dei suoi tanti testi e studiosi, sta prendendo il posto della vita attraverso la violenta capacità di diffusione della televisione. L’accendi e subito inciampi in numerosi sceneggiati su Padre Pio, se no, in un’Isola dei Famosi con Sconosciuti ambosessi che sculettano, dicono scemenze e mangiano radici. Vai in un museo e c’è la mostra di Jeff Koons o di qualche preraffaellita, sfogli un settimanale cult e resti ammaliato dalla tavola da pranzo dell’ex premier grande come una nave, ottanta posti a tavola, tovaglia di damasco rossa, posate di vermeil, camerieri in polpe. Tenti di seguire la politica e ti ritrovi tra camicie verdi che festeggiano il dio Po, leggi i quotidiani e si dà una pagina al pensiero di Santanchè, un’altra alle nuove mutande regginatiche più molte foto di Formigoni che si tuffa in luoghi già Kitsch anche senza di lui.
Quasi tutti noi senza accorgercene siamo diventati di pessimo gusto e capita persino di comprare a un’asta benefica i Tre porcellini di gesso o certe collane di denti si spera non umani, per le vacanze in barca: o ci si lascia irretire dai Suv, che superano, nel Kitsch dei trasporti, persino l’Orient-Express, mentre nulla è più inutile di costosi abiti da sera con strascico da incoronazione, che si infanga sotto la pioggia sui tappeti rossi dei ricevimenti pubblicitari. Madonna fa un film superkitsch come
W. E. Reality di Garrone inizia con uno spaventoso e reale luogo-torta a Napoli, dove si festeggiano matrimoni periferici e gli sposi arrivano su carrozza dorata con quadriglia di cavalli bianchi impiumati e lacchè in costume Settecento. Meno male che la mostra eleva il Kitsch fuori dalla realtà e si racconta in un bel catalogo (editrice Compositori), con interventi colti, tra cui quelli di Vittorio Gregotti e Ugo Volli, già presenti nello storico libro del ’68.
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