«Ricostruzione esemplare col lavoro dei detenuti»

CARCERI La proposta del Guardasigilli Paola Severino in visita nei penitenziari emiliani 
Una «piccola idea» scaturita dall’incontro della ministra con i carcerati bolognesi ma che cozza con i tagli del governo agli enti locali e alla legge Smuraglia

CARCERI La proposta del Guardasigilli Paola Severino in visita nei penitenziari emiliani 
Una «piccola idea» scaturita dall’incontro della ministra con i carcerati bolognesi ma che cozza con i tagli del governo agli enti locali e alla legge Smuraglia
E se le porte delle carceri dell’Emilia Romagna si aprissero alla società esterna e i detenuti «non pericolosi» potessero diventare «protagonisti», attraverso il proprio lavoro, al fianco dei cittadini liberi, «di un’esemplare ripresa» del territorio terremotato? La «piccola idea», come lei stessa l’ha definita, balzata alla mente della Guardasigilli Paola Severino ieri a conclusione della visita negli istituti penitenziari di Dozza, a Bologna, e di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, è di quelle che si fanno presto largo nei buoni sentimenti. E nei titoli dei giornali. Ma cozza terribilmente con la politica dei tagli di cui il governo Monti è maestro. In particolare con quelli che hanno notevolmente ridotto il già difficile accesso al lavoro dei carcerati (fondi per le mercedi e legge Smuraglia).
Ma il ministro ieri ha anche predisposto il trasferimento di 350-400 detenuti dalle carceri delle zone terremotate in altri istituti fuori regione e l’apertura dei blindi delle celle 24 ore su 24 per «evitare di aggiungere angoscia su angoscia» in questi giorni di terrore. E al contempo ha annunciato il rafforzamento dell’organico di polizia penitenziaria emiliano attraverso il trasferimento di alcuni agenti da altre sedi. Le strutture penitenziarie, secondo la ricognizione del ministero, non hanno subito grossi danni dalle scosse e solo una parte dell’edificio di Castelfranco Emilia ha bisogno di qualche lavoro di restauro.
«Ho sempre pensato – ha detto ieri Severino, appena uscita da Dozza – che il lavoro carcerario sia una risorsa per il detenuto, un vero modo per portarlo alla risocializzazione e al reinserimento nella società». Così, «in momenti come questo del terremoto che impongono interventi tempestivi e immediati», ragiona la Guardasigilli, si potrebbe agevolare chi, tra i detenuti «non pericolosi» che abbiano i requisiti di pena adatti per accedere al regime di semilibertà, volesse prestare la propria opera per la ricostruzione post sisma. Sarebbe un’occasione di reinserimento «doppiamente utile», continua il ministro, perché il detenuto «si sentirebbe utile alla società» e contemporaneamente s’insegnerebbe «alla cittadinanza a considerare il carcerato un soggetto che può essere ancora utile, non un peso». Severino, raccogliendo una volontà espressa dagli stessi detenuti del carcere bolognese, ipotizza che a Dozza, per esempio, si potrebbe «lavorare su due fasce» di reclusi: «Ci sono 246 tossicodipendenti, ambito in cui si possono distinguere casi di persone non pericolose, ma anche un 57% di detenuti extracomunitari tra cui alcuni che hanno una grande voglia di ricominciare».
Qualche precedente non manca: secondo la testimonianza di un agente di polizia penitenziaria raccolta dall’Ansa, nel 1980, durante il terremoto in Irpinia, quando crollarono alcune strutture penitenziarie, i carcerati «si misero a rimuovere le macerie insieme a noi». E perfino nelle cucine delle tendopoli dell’Aquila quattro detenuti di Rebibbia prestarono la loro opera in solidarietà con i terremotati. Ma in questi casi si tratta, appunto, di lavoro volontario e gratuito. Che non può, ovviamente, diventare lavoro regolare, strutturato, ma non retribuito.
Aspettando la conclusione dell’iter parlamentare del ddl sul lavoro socialmente utile, nel frattempo tra pochi giorni, il 20 giugno, sarà siglata un’intesa tra l’Anci, il ministero di via Arenula e il Dap per consentire ai detenuti di accedere a lavori esterni utili a quei comuni che ne fanno richiesta accollandosi il costo delle retribuzioni. Qualcosa di simile a quanto accaduto a Roma, dove dall’aprile scorso una ventina di carcerati sono al lavoro per ripulire i parchi e le aree archeologiche con un progetto finanziato però dalla cassa ammende e dalla sovrintendenza della capitale.
Più difficile, invece, è pensare di coinvolgere i detenuti nella ricostruzione delle aree terremotate. Agli imprenditori locali riuniti a Parma per l’assise annuale, Severino ha parlato della seconda parte del suo pacchetto, quello che riguarda il tema caldo e caro alle imprese della giustizia civile. Ma non deve aver spinto troppo sulla «piccola idea» di assumere detenuti per far ripartire l’Emilia. Solo la Coldiretti, infatti, ha espresso parole di apprezzamento per la suggestione del ministro, ipotizzando mano d’opera carceraria nei «campi dove manca l’acqua per irrigare, nelle case rurali, nelle stalle, nei fienili e nei capannoni danneggiati».
Forse potrebbe essere utile, per far diventare la «piccola idea» una grande idea, ripristinare il fondo per le mercedi (gli stipendi) dei carcerati che lavorano per l’amministrazione penitenziaria (passato da 71,5 milioni del 2006, quando la popolazione reclusa si aggirava sulle 60 mila unità, ai 50 milioni del 2011 per 68 mila carcerati), e il fondo, bloccato dal 2000, della legge Smuraglia sugli sgravi fiscali per le aziende che assumono detenuti.

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