La riforma del lavoro sopra le macerie

ARTICOLO 18. Tra lacrime di coccodrillo, minuti di silenzio e sobrie parate militari, la notte della memoria e della ragione sta per scendere sugli operai morti sotto i capannoni delle fabbriche emiliane.
Le lacrime evaporeranno con la calura estiva, il silenzio si farà  rumore nel solito can can, alle sobrie parate seguiranno meno sobrie esercitazioni e guerre. L’emozione per la strage operaia, sincera per tante persone normali, ai piani alti della politica non ha prodotto neanche un piccolo ripensamento.

ARTICOLO 18. Tra lacrime di coccodrillo, minuti di silenzio e sobrie parate militari, la notte della memoria e della ragione sta per scendere sugli operai morti sotto i capannoni delle fabbriche emiliane.
Le lacrime evaporeranno con la calura estiva, il silenzio si farà  rumore nel solito can can, alle sobrie parate seguiranno meno sobrie esercitazioni e guerre. L’emozione per la strage operaia, sincera per tante persone normali, ai piani alti della politica non ha prodotto neanche un piccolo ripensamento. Neanche una pausa di riflessione nella corsa verso una modernità che puzza d’antico: agli operai vivi, quelli sopravvissuti al terremoto, ai licenziamenti, alla disoccupazione, sono stati cancellati diritti e tutele con la riforma del mercato del lavoro approvata in fretta e furia al Senato con una sventagliata di voti di fiducia.
L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori è stato violentato, quella che chiamano flessibilità in uscita si traduce nel linguaggio comune in libertà di licenziamento. Quella che chiamano flessibilità in entrata non è altro che precarietà, estesa dai giovani a tutte le fasce d’età. Affacciarsi al lavoro è un’impresa ancora più titanica, dentro una crisi di cui non si vede la fine e chi riesce a entrarci deve farlo con il cappello in mano di fronte a un padrone tornato agli antichi fasti. La riforma delle pensioni che allunga l’età lavorativa rende ancora più improbabile la possibilità dei giovani di costruirsi un futuro: il lavoro diventa una maledizione per alcuni, una chimera per altri. Ieri persino i dati ufficiali sulla disoccupazione parlavano dello sfondamento della soglia critica del 10%, quella giovanile è ormai superiore al 35%. In un solo anno si sono persi tra i 600 e i 700 mila posti di lavoro. Monti è contento di presentare all’Europa e al mondo una riforma che non crea un solo posto di lavoro né riduce di un punto il mitico spread, ma obbedisce alle pretese più indecenti e alla fine suicide della finanza e del liberismo. Monti ha la fiducia, anzi il voto di fiducia del Parlamento, non quello del paese reale. Lo stesso dicasi – e le elezioni recenti l’hanno detto – per i partiti che sostengono il governo scelto dallo spirito santo. E i sindacati? Non siamo nel 2002 ma nel 2012, bisogna essere realisti. Così la Cgil della Camusso non chiama in piazza 3 milioni di persone ma ne mette qualche centinaio in presidio davanti al Parlamento dove è in atto un massacro sociale, con tante ombre e nessuna luce. E lo sciopero generale che la Fiom e una parte della maggioranza Cgil chiedono? Vedremo… La manifestazione che i vertici di Cgil, Cisl e Uil avevano indetto (sul fisco) per oggi è stata spostata di due settimane, quando la riforma sarà già passata o in dirittura d’arrivo anche alla Camera. Un rinvio «per rispetto» alle vittime del terremoto.
Se le vittime operaie del terremoto potessero vedere l’Italia dopo il varo della riforma la scoprirebbero ancora più precaria, con minori tutele, più insicura. La scoprirebbero più cattiva. Penserebbero che anche la loro morte è stata inutile. Ma per fortuna c’è l’unità sindacale.

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