E il giudice di Md si schiera contro le inchieste di Caselli
TORINO — La battaglia della Torino- Lione non si combatte più soltanto attorno alle recinzioni del cantiere di Chiomonte, in Val Susa. Adesso è anche uno scontro editoriale: tra due libri che gettano benzina sul fuoco, portandosi dietro, assieme allo schieramento Sì-Tav opposto a quello No-Tav, anche la fine di antiche e fraterne amicizie. E finendo per coinvolgere una sigla prestigiosa del solidarismo cattolico italiano, il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti, e persino (ed è lo strappo più doloroso e più aspro) la storica corrente di sinistra delle toghe italiane: Magistratura Democratica (Md).
E il giudice di Md si schiera contro le inchieste di Caselli
TORINO — La battaglia della Torino- Lione non si combatte più soltanto attorno alle recinzioni del cantiere di Chiomonte, in Val Susa. Adesso è anche uno scontro editoriale: tra due libri che gettano benzina sul fuoco, portandosi dietro, assieme allo schieramento Sì-Tav opposto a quello No-Tav, anche la fine di antiche e fraterne amicizie. E finendo per coinvolgere una sigla prestigiosa del solidarismo cattolico italiano, il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti, e persino (ed è lo strappo più doloroso e più aspro) la storica corrente di sinistra delle toghe italiane: Magistratura Democratica (Md).
Ma andiamo con ordine. Il primo volume ad uscire, nel maggio scorso, solo su web e scaricabile dal sito www.Tavsi.it, è “TavSì”: 160 pagine scritte da un deputato del Pd torinese, Stefano Esposito, e dall’architetto Paolo Foietta, uno dei tecnici dell’Osservatorio che, da anni, lavora per far partire i cantieri dell’Alta velocità in Val Susa. Esposito è l’esponente del Pd che più si è battuto contro le violenze delle frange estremiste del movimento No-Tav e il segretario nazionale del suo partito, Pierluigi Bersani, gli ha scritto una prefazione in cui tesse un elogio del “riformismo” e sostiene la sua posizione: «…Quando si arriva ad esercitare forme inacettabili di violenza e di prevaricazione, la vicenda assume tratti eversivi…». “Tavsì” è tutto dedicato a contrastare, sul piano economico, scientifico e realizzativo, le tesi di chi si oppone alla Torino-Lione, anche con un breve capitolo in cui si riassumono gli scontri violenti e gli assalti degli ultimi due anni, soprattutto nei confronti delle forze dell’ordine.
L’altro libro, invece, si intitola “Non solo un treno…La democrazia alla prova della Val Susa” (Edizioni Gruppo Abele, pp.320, euro 12) e l’hanno scritto il sociologo Marco Revelli e l’ex magistrato (è da poco in pensione) Livio Pepino, già segretario nazionale di Md ed ex membro del Csm, oggi animatoreculturale proprio delle edizioni del Gruppo Abele. Revelli, nel suo lungo saggio, compie il lavoro opposto a quello di Esposito e Foietta, in una contrapposizione tra due visioni diverse della sinistra sulla «questione Valle di Susa »: con l’area di Chiomonte, difesa notte e giorno dalle forze dell’ordine, che per i primi due diventa «un cantiere dello Stato» e per lui, invece, la «Libera Repubblica della Maddalena». Il sociologo prima traccia la storia del Movimento No-Tav, definendolo un esempio di «democrazia dal basso», e poi spiega le ragioni economiche, tecnico-scientifiche e sanitarie del «no» al Tav.
A suscitare le polemiche più roventi è, però, il saggio giuridico di Pepino che contesta le inchieste della Procura di Torino che hanno portato agli arresti e alle denunce di decine di miltanti No-Tav, tra i quali anche due ex terroristi di Br e Prima Linea. La posizione di Pepino è imperniata sulla legittimità del dissenso e sulla necessità della sua tutela democratica, sulla contestazione dei comportamenti delle forze dell’ordine, con richiami alle vicende e ai processi per le violenze al G8 di Genova, e diventa così una vera e propria «requisitoria » contro le decisioni della procura subalpina. Soprattutto in un capitolo dal titolo quasi provocatorio: “Il diritto penale del nemico”, nel quale indica «l’individuazione del prototipo del manifestante violento», da parte dei pm, come unico «filtro per l’esame dei fatti» e dei protagonisti.
Parole che sono già arrivate come pietre negli uffici della Palazzo di Giustizia di Torino, dove la Procura è guidata da Gian Carlo Caselli: il giudice istruttore delle indagini contro le Br e il pm del processo per mafia contro Andreotti. Ma soprattutto collega e amico di una vita di Pepino (come lui è stato a lungo tra i leader nazionali di Md) con il quale ha anche scritto un saggio sulla giustizia in Italia per Laterza. Assieme, per decenni, hanno condiviso l’impegno a fianco di don Ciotti, prima nel Gruppo Abele e poi in Libera.
Dall’ufficio di Caselli, per ora, non filtrano reazioni anche se qualcuno parla di «un procuratore che alterna l’amarezza a una rabbia stupita», mentre c’è chi ripete una battuta sarcastica che circola nei corridoi: «La democrazia arriva dal basso, ma le pietre sui poliziotti cadono dall’alto…». Nei mesi scorsi, sui muri di Torino, era apparse scritte che definivano Caselli «un mafioso», mentre le presentazioni del suo libro sull’era giudiziaria dei governi Berlusconi, “Attacco alla giustizia”, si erano trasformate, in tutta Italia, in contestazioni del Movimento No-Tav e degli antagonisti dei centri sociali.
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